Ma questo è il paradiso!

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    Il Buoi oltre la Siepe

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    Akia


    Si sentiva solo, si sentiva triste. Nonostante avesse conosciuto nuove persone a Traverse Town e a Shibuya, gli umani non erano rimasti con lui. No, non lo avevano degnato se non di pochi sguardi... appena la sua utilità era svanita. E Akia, ancora una volta, era rimasto da solo.
    Forse sarebbe dovuto davvero tornare a Pride Lands, cercare qualcuno che gli dicesse come arrivarci, perché non riusciva a concentrarsi abbastanza con quei varchi oscuri per volare fino a lì. In effetti sarebbe stato grandissimo: avrebbe avuto di nuovo le ali! Volare era la cosa che gli mancava di più in assoluto... beh, oltre alle sue sorelline.
    E qui Akia piangeva, la notte, perché era sicuro che tornato a casa, non avrebbe trovato le sue sorelline. Ci aveva messo mesi per comprenderlo, per imparare a capire cosa fosse successo: prima si era concentrato su sé stesso e sui cambiamenti, sull'imparare la lingua degli esseri umani del tutto, ma aveva sempre pensato che le sue sorelline stessero bene. Ma ora, ne era certo: o erano entrate anche loro in uno di quei varchi... o erano state mangiate. Gli strani animali neri, quegli "Heartless", erano troppo potenti, troppo forti: predatori instancabili e le sue sorelline erano in trappola, non sarebbero mai potute volare via velocemente. E se si fossero trovate fra gli umani... come avrebbe potuto riconoscerle?
    Quella era una di quelle giornate no, quelle giornate in cui Akia pensava a loro, poi pensava agli amici persi, a Ciciarampa e persino Oscar, e singhiozzava. Si sentiva un cucciolo anche se in teoria aveva passato l'età adulta, si sentiva abbandonato. Per la prima volta in tutti quegli anni voleva sua madre. Eppure era stata presa dalle iene tanto tempo prima.
    Ancora singhiozzando aprì l'ennesimo varco che l'avrebbe portato in un mondo casuale. Senza rendersene conto, poggiò le zampe... o i piedi, come doveva imparare a chiamarli, su una collina dall'aspetto strano, la consistenza diversa sotto i suoi piedi nudi.

    E Akia spalancò gli occhi.

    Cibo. No, ancora meglio, quei dolci che aveva scoperto fra gli umani! Ovunque: sotto i suoi piedi, sopra la sua testa, nelle cime degli alberi... gli odori riempirono il suo naso sensibile provocando quasi l'effetto opposto, facendolo per un attimo stare male.
    Era forse un miraggio? Era forse quello il luogo in cui si andava dopo la morte? Akia smise di piangere, distratto da tutto quel ben di dio. Sì, era un mangione, era goloso ma sopratutto Akia era affamato, perennemente, poiché per le strade era difficile trovare del cibo, e del cibo buono! Non era più solo una questione di assaggiare nuove cose, come all'inizio del suo viaggio, era una questione di sopravvivenza.
    E qui, davanti a lui, c'era un intero mondo fatto solo di cibo. Se ci si fosse trasferito, avrebbe potuto vivere per sempre! O, beh, fino a quando non gli sarebbero cadute le ultime piume e avrebbe volato per l'ultima volta verso i grandi nidi dei suoi antenati.
    Ridendo ancora fra i singhiozzi, Akia si lanciò in avanti, superando a grandi passi dell'erba che odorava pungentemente. SI portò accanto ad un albero e ne annusò la corteccia - ma questo era quel meraviglioso cibo che aveva provato al Castello, il Cioccolato! Ne staccò un ramo e se lo portò in bocca.
    Sì, questo era sicuramente quello che gli umani chiamavano "paradiso".
     
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    Il Guardiano della Luce.


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    Vendetta

    L'aria era strana.
    L'Heartless emerse dal suo varco come uno scoglio dalla marea, saggiò il terreno attorno a sé raspando piano con gli artigli alla ricerca di spiegazioni sul luogo in cui era arrivato. Il suo olfatto captava odori del tutto diversi dal solito: non c'era traccia del fumo dei grandi mostri di metallo in cui entravano i Cuori per allontanarsi da lui più velocemente, né dell'odore della pioggia, della terra umida o del mare. Il suo udito non percepiva nulla di familiare, solo la sua vista sembrava confermare che il posto in cui si trovava non era un'allucinazione o una qualche remota fantasia; le forme erano simili a quelle in cui aveva cacciato altre volte, eppure il suo naso non riusciva a individuare prede. Un piccolo Shadow pigolò sulla sua schiena, muovendo la testina in cerca di cibo, e l'Heartless fu costretto a scacciarlo con un sonoro ringhio. Era ancora troppo piccolo per unirsi alle cacce, doveva tornare subito tra le isole oscure e nutrirsi delle ombre, prima di sperare di potersi appropriare di un Cuore tutto per sé. I Cuori erano creature ostinate, forti, combattive. Ci volevano artigli possenti, muscoli poderosi e velocità per ucciderli, ma serviva anche astuzia, qualcosa che i sensi sempre più affinati dell'Heartless cercavano di raggiungere con successi alterni.
    Non aveva avuto vita facile. Il suo corpo era pieno di cicatrici biancastre, il suo aspetto sembrava essersi stabilizzato su uno strano incrocio tra un umano e un Neoshadow, creature potenti contro le quali era spesso costretto ad azzuffarsi. I Cuori si erano fatti sempre più combattivi e a volte altri Heartless venivano a disturbare il suo nido, obbligandolo alla lotta. Questo per la creatura non aveva importanza; erano sempre Cuori che poteva divorare, sebbene ormai annegati nell'Oscurità e quindi privi di sapore. Era stato proprio il bisogno di prede fresche a spingerlo in quella cerca, desideroso di nutrirsi di nuovo dopo tanto tempo, possibilmente senza incappare in altri combattimenti. Voleva qualcosa di facile, magari uno di quei Cuori piccoli ma tanto teneri, gustosi, succulenti; più erano piccoli, più il loro sapore era forte. La Luce di cui traboccavano rendeva il pasto sublime, indimenticabile. L'Heartless aveva divorato molti Cuori nel corso della sua breve vita, per rafforzarsi e diventare sempre più potente e robusto, al solo scopo di proteggere il proprio territorio e vivere tranquillo. Se altre minacce peggiori dei Neoshadow si fossero presentate alla sua porta, doveva essere in grado di difendere il nido anche da esse a qualsiasi costo. Gli Shadow non erano in grado di difendersi.

    Soprattutto aveva paura del Colosso. Era strano, perché in realtà era molto piccolo - a conti fatti, era come un Cuore piccolo. Uno di quelli che sarebbero caduti facilmente sotto i suoi artigli. Invece, era dotato di una forza spaventosa, la sua volontà era così possente da essere incontestabile; era fuggito via ogni volta che l'aveva incontrato, e ogni volta trovava il suo nido vuoto. L'Heartless piangeva per i suoi protetti, ora di certo morti sotto i colpi delle luci crudeli. Odiava la luce, odiava chi la brandiva, voleva diventare più forte anche per eliminarla dall'universo. Se solo non avesse sempre avuto tutta quella fame, forse sarebbe anche riuscito a ragionare meglio e capire il da farsi senza bisogno di spostarsi in un mondo tanto lontano. Sentiva che la soluzione era vicina ogni volta che si addormentava e ricordava qualcos'altro. Ma erano solo attimi, parole, momenti sfuggenti fatti di risate, di voci indistinguibili, di capelli dal castano cinereo e occhi color nocciola che lo fissavano in modo incomprensibile per lui. Era cibo, perché aveva l'evidente aspetto di un Cuore, di quelli che però si mangiavano con difficoltà; poteva mangiarlo persino in sogno, ma non riusciva. Ogni fibra di lui gli diceva di non uccidere quel Cuore, di non fargli del male, che fosse per divorarlo o ferirlo. Qualcosa in quella figura misteriosa suscitava ammirazione, rispetto, quasi nostalgia, ma erano solo emozioni primordiali, abbozzate, e non era capace di capire cosa significassero. Erano solo concetti.
    Avanzò in quel mondo passo dopo passo, circospetto. Non c'era anima viva nei dintorni, era tutto vuoto, eppure l'odore di cibo per Cuori era dappertutto come nelle città. Persino sotto i suoi artigli. Procedette gattoni, come sempre, le palme delle mani e le punte dei piedi che scandivano i suoi passi. La sua ombra era parzialmente ritirata - si sarebbe potuto scambiare per un umano che camminava a quattro zampe senza problemi. Ma se si fosse sentito minacciato, allora le ombre lo avrebbero ricoperto.
     
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    Il Buoi oltre la Siepe

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    Staccava foglie di menta, bastoncini amari ma stranamente dolci color del catrame, bacche di una consistenza strana che gli ricordavano di gusto le mandorle, e infilava tutto in bocca velocemente. Sicuramente si stava sporcando, ma non gli importava: in quel momento sembrava andare quasi in automatico, come se qualcun altro stesse muovendo le sue mani. Un filo d'erba al pistacchio, una radice di qualcosa che ancora non conosceva, poi un fiore giallo al limone: tutto in bocca, quasi ingoiato senza masticare, uno spettacolo che doveva essere sicuramente disgustoso. Tutto, pur di colmare quel vuoto assurdo che sentiva dentro, quel baratro di fame e altro che lo perseguitava.
    Il suo stomaco si lamento', tremando.
    Trovò per fortuna un buco scavato nella sabbia di biscotto, dietro una roccia color arcobaleno, e rigetto' tutto ciò che aveva mangiato. Faceva male, molto male, e sopratutto quando fini' e si ripuli', si rese conto che quel pasto troppo veloce lo aveva solo danneggiato... Ma che aveva ancora fame.
    Il suo sguardo incrocio' il suo riflesso sul fiume di acqua zuccherata che scorreva accanto a lui. Era sporco di cioccolata intorno alla bocca, ma il volto era incavato, e...
    Scoppiò a piangere. Grossi, caldi lacrimoni che scesero sulle sue guance come se fosse un bambino. Ma come si era ridotto? Era questa la sua vita, ora? Da solo nella savana, o da solo fra gli umani, sempre affamato, con l'unico pensiero di trovare cibo? Si accoccolo' su se stesso, continuando a piangere, tenendosi la testa fra le braccia.
    Non si era reso conto di non essere solo.
     
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