Snowgrave

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    Yami Ayazaki

    Il ticchettio d’orologio risuonò ancora una volta negli empi corridoi della Villa Ayazaki. Non un rumore, non un fil di vento, tanto meno un sussurro, soleva rompere un simil momento solenne.
    Howell era appoggiato di schiena contro la parete di fianco alla finestra del salotto, quella che dava sulla strada, mentre Yami era rimasto incollato alla poltrona, osservando ad occhi sbarrati e con tanto di bocca aperta la sorella gemella. Nelle mani di Hikari, infatti, fluttuava un’arma. Il leggendario catalizzatore che estendeva il cuore di chi lo reggeva oltre ogni possibile estensione. Anche il Generale sembrava aver perso la sua solita parlantina, portandolo a mutare velocemente espressione, costringendolo ad una rigida, ma naturale, espressione di osservazione. Lo Studente, d’altro canto, stava cercando di formulare come meglio poteva la meraviglia e l’incredulità di una simile visione. Miriadi di domande si affacciavano nella sua mente, ricercando i motivi che avessero portato ad un simile evento.
    La Guardiana dei Sogni, invece, rimaneva lì retta, seduta oltre il tavolino a superficie vetrata con le gambe in legno, tenendo la mano sospesa a mezz’aria, il palmo della stessa rivolta verso l’alto.
    Questo… è Choir of the Mind. Il mio Keyblade.” Disse semplicemente, rianimando ora tutto ciò che aveva intorno a lei.
    Per tutti quei minuti di attesa era come se l’intera stanza avesse assunto il colore dell’inverno e solo con la sua dichiarazione tutto avesse ricominciato a prendere colore. Yami ora osservava una sorella decisa, determinata, con serietà nei suoi occhi come mai l’aveva vista prima di allora.
    Ma… come? Quando? Io ed Howell non siamo stati qui per letteralmente un giorno e tu hai soltanto dormito!” Si passò una mano sulle labbra, sfregando anche il mento. “Oppure attendeva solo il momento giusto. Tutto questo è assurdo!
    La giovane scosse leggermente il capo.
    In realtà c’è una spiegazione. Il Dio di Midgar…” Il movimento improvviso di Howell, risvegliato come dal suo sonno, l’aveva portata a guardarlo di sorpresa. “Ha richiamato me ed altri guerrieri a proteggere il mondo da un individuo chiamato Sephiroth. Un Soldier First Class, ma allo stesso tempo parte del Dio di Midgar.
    Yami si voltò verso Howell, osservando ora il fratello sedersi sulla poltrona fra i due, le mani unite a preghiera davanti il volto. Il suo sguardo era diverso dal solito e non poté far a meno di notarlo: non appariva più così lontano, così vacuo com’era solito vederlo. Ci leggeva dei pensieri, sentimenti, che andavano e venivano come sprazzi di luce improvvisi. Anche suo fratello era cambiato, in così poco tempo.
    Quando abbiamo combattuto contro di lui, io ed Yvone abbiamo ottenuto quest’arma.” Fece scomparire il Keyblade ed un fremito percorse la sua pelle. “Ho parlato con un ragazzo di cui ancora non conosco il nome. C’eri anche tu Yami.” Qui sorrise, anche se con un poco di imbarazzo. “Stavo venendo messa alla prova. Per capire se ne ero degna. Ed a quanto pare lo sono.
    Non ne ho mai visto uno da così vicino!” Esclamò il ragazzo. Uno strano entusiasmo lo aveva colto, portandolo a battere più volte il piede a terra, mentre miriadi di domande si affacciavano nella sua mente. “In questo modo Traverse Town avrà una difesa in più! Per tutti gli Eoni, Hikari, sono così fiero di te!
    La ragazza iniziò a giocare con le proprie ciocche, arrossendo appena.
    Non vi è molto per cui dobbiamo essere fieri.
    La voce di Howell apparì tombale. I due quasi si spaventarono nel sentirlo così giù di tono, voltandosi con uno sguardo confuso e sgomentato.
    Ma che dici Howell? Hikari è diventata una Keyblader! Può solo che migliorare da questo pu-
    Dobbiamo abbandonare Traverse Town. Entro domani.” Lapidare, si alzò in piedi, iniziando a percorrere il salotto verso l’uscita dello stesso.
    La confusione della guerriera era palpabile, rivolgendo sguardi confusi a suo fratello gemello. Yami si alzò in piedi e seguì il Generale a gran passo, mentre la sorella seguiva da dietro con incertezza.
    Abbandonare casa?! Ma perché ora che Hikari può-
    Howell salì le scale, senza mai voltarsi. La mano artigliata graffiava appena la superficie in legno del corrimano, stringendola quando il ragazzo gli rivolse nuovamente parola.
    Yami, è un ordine. Hikari è ancora inesperta con la sua arma e rischieremmo di mettere in totale pericolo tutta la città se si venisse a sapere che è una Keyblader.” Lasciò la presa, incamminandosi verso il piano superiore.
    Come fa a migliorare se si deve nascondere allora?” La frustrazione che provava in quel momento era palpabile. Hikari non osava esprimersi, guardando attonita tutta la scena. “Se ha avuto accesso a ciò un motivo ci deve essere! Magari possiamo aiutarla a capire meglio come funziona, allenandoci o sperimentandone le potenzialità!
    Ho visto gente venir uccisa per molto meno egoismo, Yami.” Fu la gelida risposta del fratello.
    Yami gli fu subito dietro, mentre Hikari provava a stento a bloccarlo con la sua voce. Valeva la pena discutere ancora in questo modo? Non riusciva a desistere, rimaneva testardo in fin dei conti.
    Sei nostro fratello maggiore, ma ciò non obbliga a seguirci, lo sai, vero?
    Howell si bloccò, inclinando appena il capo per scorgere il fratello con la coda dell’occhio.
    Oya? Pensi che rimanere qui sia la decisione migliore?” Continuò a guardarlo in quel modo, come se volesse ancora nascondersi allo sguardo del fratello. “A Villenueve ho combattuto di fianco ad un Keyblader. Ho visto che cosa accade quando si rimane a lungo nello stesso posto. Ho visto cosa la loro presenza può fare alle persone. Ed allo stesso tempo, quanto possano perdere per una scelta sbagliata.
    Ma non tutti i Keyblader sono così! Tipo… tipo Basil Onosenshi!” Cercava le parole, motivazioni, che potessero convincere suo fratello a desistere.
    Ha perso la sua città.” Qui si zittì. “Ha rischiato che la sua famiglia morisse. Vuoi lo stesso Yami? E’ una scena che ho già visto, dovresti saperlo.
    Yami si ammutolì completamente, lo sguardo a terra, i pugni stretti. Hikari si trovava in cima alla rampa di scale, guardandoli nascosta appena dal legno del corrimano.
    Perchè fai così? Traverse Town è un mondo sicuro! Non attaccherebbero un crocevia! Non… voglio abbandonare casa di nuovo.
    E ti sembra una motivazione valida per poter restare? Tutto basato su considerazioni prive di fondamento? Ma ascoltati, Yami!” Si girò totalmente, aprendo le braccia in sua direzione. Il viso era furente, ma l’espressione appariva ancora innaturale, lontana da una normale reazione umana. “Così tanti sentimentalismi per una casa in cui non hai vissuto realmente! Non volevi essere lo Studente perfetto, ricco di raziocinio e logica?! Ascoltati! Sei così incoerente che mi sembri nostro padre, che non faceva altro che giustificare le sue azioni sul nulla pur di sentirsi apposto con sè stesso!
    Lo sguardo di puro shock di entrambi i fratelli lo trapassò da parte a parte, senza creare alcuna reazione visibile. Non tentennò nemmeno. Il viso del mago si indurì e la sua voce si fece più greve, ricca di rabbia e risentimento.
    Mi dai tanto dell’egoista, ma intanto ti stai comportando da vero stronzo per una notizia che riguarda la tua famiglia! Nobody o meno, stai dando il peggio di te! Ti piace tanto dire che il nostro passato era tragico e tante altre cazzate, ma non ci hai mai detto la verità!
    Mosse un passo in avanti, ma Howell non indietreggiò, squadrandolo da testa e piedi.
    Yami, lascia perdere…” Aveva sentito la mano della sorella provare ad afferrarlo, ma lui si scosse dalla presa, provocandole un verso di sorpresa.
    No, non lascio perdere proprio adesso, Hikari! Sono stufo di questa situazione! Dove cazzo sei stato in questi diciassette anni?! Diciassette anni! In cui potevi venirci a trovare o quanto meno riunire prima! Cos’è realmente successo ai nostri genitori? Perchè diavolo dobbiamo indossare delle maschere?! Non dovresti provare paura. Forse ci hai anche mentito sull’essere totalmente un Nessuno?” Digrignò i denti, il fiato che diveniva pesante. “Sai che ti dico allora?! Forse nostro padre aveva ragione su una cosa: sei uno stronzo egoista ed anche bugiardo! Vaffanculo Howell!
    Gli occhi dell’uomo sembravano essere improvvisamente colti da una furia improvvisa, così potente da far agitare le sue piume ed i suoi capelli in un turbinio di venti innaturale, magico. Grigie piume iniziarono a danzare attorno a lui ed Howell semplicemente guardò Yami dritto negli occhi, puntando un braccio dietro di lui.
    Fuori. Adesso.
    Ragazzi, state esagerando! Possiamo risolverla parl-
    Non ho intenzione di parlare con chi non ha orecchie per ascoltare. Tanto meno un Cuore per capirmi.” Yami indietreggiò appena e si lasciò cadere all’indietro, entrando in un varco oscuro.
    La voce della sorella apparì soltanto come un eco lontano.



    Pungeva. Il freddo attorno a lui divampava in una tempesta di ghiaccio e neve. I suoi capelli vennero scossi dalla gelata in corso, portandolo a chiudersi su sè stesso con un braccio. Il primo istinto fu quello di urlare e così fece, sfogando tutta la sua frustrazione alla solitudine di Arendelle. Subito dopo, lasciò alle lacrime lo spazio per potersi liberare, sentendole scendere sulla sua pelle e ghiacciarsi appena all’eterno inverno che lo circondava. Sussurrava, balbettando, continuamente, un “idiota”, muovendo i primi passi. Era difficile camminare con le sue normali scarpe, ma non aveva avuto un pensiero preciso su dove andarsene quando Howell lo aveva intimato ad uscire. Voleva solo sparire, smettere di guardarlo in faccia, smettere di sentirsi, ancora una volta, oppresso dal peso di qualcosa che neppure conosceva.
    Ancora una volta era stato debole, aveva lasciato che i sentimenti predominassero sulla ragione, ancora una volta non era riuscito a risolvere col dialogo ciò che voleva.
    Prima Laozillo, poi Leviathan ed adesso suo fratello maggiore. Aveva sbagliato così tanto in così poco tempo. Forse doveva semplicemente sparire, lasciare che la neve attorno a lui fosse la sua tomba, assorbendolo in un globo di ghiaccio. Lasciare che il freddo bloccasse le sue vene, impedire al suo cuore di continuare a pulsare, far morire ogni sentimento che provava in quel momento.
    Forse colto da un’improvvisa follia, rise a bassa voce, scuotendo appena il capo.
    Mi dispiace. A quanto pare non sono così una brava persona come tutti voi credete. Magari… Magari devo solo dormire… Sì, stendermi nella neve e chiudere gli occhi.
    Camminò ancora un poco, socchiudendo appena. Fu forse per il gelo, forse per il misto di sentimenti o per il suo cuore che batteva troppo…
    Ma Yami svenne, cadendo di faccia al suolo avvolto dalle braccia dell’Inverno.

    Role Privata
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    Eldurinn Halka

    Le braccia dell'Inverno non tennero il misterioso e folle arrampicatore per molto tempo; furono braccia molto più tangibili e umane a tirarlo fuori dalla neve, in quella che ormai nella sua vita sembrava diventata una consuetudine - c'era sempre qualcuno che si perdeva in mezzo a quelle montagne di quei tempi.
    Eldurinn, se ancora poteva chiamarsi così, aveva deciso dopo lunghi ragionamenti di tornarsene ad Arendelle. La Galleria delle Ombre era disabitata ormai, con Revan catturato e Kouichi assorbito nei suoi tentativi di ritrovarlo. Dopo aver saputo cosa fosse successo alla Cittadella, l'uomo aveva pensato che non valesse troppo la pena di rimanere in un posto dove sarebbero anche potuti essere dei bersagli, dato che quello 'Sparviero' era stato membro delle Aquile Rosse e quindi, in un modo o nell'altro, era anche a conoscenza della Galleria. Revan doveva sicuramente aver attuato dei cambiamenti, ma quanto sarebbero stati efficaci?
    No, la cosa migliore da fare era andarsene. Erano rimasti in tre alla Galleria: lui, Vanitas e Hitomi Kageyama. Era stata portata lì una notte, poco tempo prima che le forze dell'universo si congiungessero per schiacciare Shibuya, la Cittadella e chissà cos'altro allo stesso momento.
    Era una donna sorprendentemente forte ed energica. Gli ricordava fin troppo sua madre, la qual cosa lo metteva parecchio e disagio e per questo cercava di starle intorno il meno possibile. Lei non era comunque molto incline alle chiacchierate, sempre preoccupata per suo figlio e col naso rivolto al cielo. E Vanitas...
    Vanitas peggiorava di giorno in giorno. Aveva solo la forza di chiedere di Kouichi, alzarsi a sedere per mangiare qualcosa e riaccasciarsi sul letto col respiro affannoso. Non sapeva neppure a chi rivolgersi. E non sapeva come contattare Kouichi, che comunque aveva troppe altre preoccupazioni.
    Aveva lasciato Vanitas a dormire accanto al fuoco, beato e accoccolato tra le coperte. Sembrava immerso in un breve momento di serenità, ed Eldurinn si sorprese ad accarezzargli i capelli, rimboccargli meglio le pellicce. La piccola grotta era calda e protetta. Hitomi saliva a giorni alterni, ma la bufera l'aveva trattenuta dal farlo. Aveva deciso di proporsi come aiutante ad una donna del paese, nei pressi della famosa caffetteria di cui tanto parlavano, ma non sapeva come fosse andata.

    Non era la prima volta che passeggiava in mezzo alla bufera. La montagna lo ignorava, il freddo non lo colpiva più di tanto. Il mantello di pelliccia nera che portava era più un accorgimento, perché il vento frustava comunque. Telva, Hollo e i loro piccoli erano al sicuro nella grotta, Telva sembrava aver preso molto a cuore il piccolo Vanitas e si acciambellava ai suoi piedi, mentre il Fluttuo giocava con i cuccioli.
    Se solo il se stesso di pochi mesi prima lo avesse visto. Una volta non avrebbe esitato a uccidere Vanitas nel sonno, conscio del pericolo che rappresentava; e adesso lo difendeva e lo portava nel luogo per lui più importante.
    Il suo sguardo catturò una figura riversa in mezzo alla neve, parzialmente coperta, a faccia in giù. Repentino, Eldurinn si chinò per sollevarlo, scoprendo un ragazzo dell'età di Kouichi, con gli occhiali probabilmente ammaccati per la caduta e vestiti comunque inadeguati per una bufera del genere.
    Di norma era meglio stare in casa, infatti.
    Lo avvolse nel mantello di pelliccia e lo prese in braccio, un braccio sotto le ginocchia e un altro a cingergli le spalle; si diresse verso il Santuario senza che venissero disturbati da qualche animale. Il bello di una bufera era che nessun predatore era così pazzo da aggredire qualcuno.
    Depositò con cura lo sconosciuto accanto al fuoco dentro la grotta; Hollo gli zampettò accanto al viso, leccandogli il naso.
    "Indietro." disse Eldurinn, con ferma gentilezza; Hollo arretrò di qualche passo, ma presto cominciò a girargli intorno e annusarlo. Sospirò, sapendo di dover fare la solita procedura; gli avrebbe tolto con cura i vestiti, prima di coprirlo con una coperta asciutta e lasciare che il fuoco facesse il proprio dovere.
    "Questa grotta è piccola..." mormorò, stuzzicando il fuoco. O forse era la sua vita che si era fatta troppo affollata.
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    Durante quel sonno innaturale, in cui la neve sembrava aver assopito completamente i suoi sensi, Yami aveva sognato.
    Quanto meno, aveva visto immagini confuse, spirale di ricordi ed avvenimenti mai accaduti. Continuavano a mormorare, a rimuginare sugli errori che in quei giorni aveva commesso. L’immagine di Leviathan che continuava a girare su sé stessa, pronta a divorarlo con le sue fauci, la sensazione di incredibile sconforto di quella tremenda serata di discussioni, con le voci di Lao e Kyros che gli attanagliavano il cuore e lo trascinavano verso il basso, in profondità così buie da apparir lontane dall’Oscurità stessa. Fruscii di mare, venti, la voce di Hikari, lontana, nascosta da numerose bolle che esplodevano all’unisono, che lo richiamava all’appello.
    La delusione di Howell nel suo sguardo e nella sua fredda voce da Nessuno, alternata da caldi respiri che non riusciva a comprendere, mani che si insinuavano sul suo viso, costringendolo a muoversi costantemente in quell’incubo. Mormorava, sussurrando appena, parole che non avevano completamente senso. Eppure, un senso, dovevano averne. Che il suo corpo stesse semplicemente reagendo all’improvviso calore che lo stava avvolgendo? Il freddo, pian piano, stava scivolando al di fuori del suo corpo, provocando qualche effetto indesiderato nella sua mente?
    Non era cosciente di nulla che gli stesse accadendo intorno a lui, nonostante quegli incubi fossero un eco di ciò che lo circondava.
    All’ultimo, un viso appartenente ad un passato lontano lo squadrò da capo a piedi, sorridendo soddisfatto. Furono i penetranti occhi gialli a risvegliarlo, gettando un urlo di terrore che lo costrinse ad alzarsi a metà busto, stringendo con forza la coperta che lo copriva.
    Respirava affannosamente, piccole nuvole di condensa, dovute ora alla differenza di temperatura a cui pian piano si stava abituando furono la prima cosa che riuscì a vedere. La seconda, fu comprendere che non riusciva a vedere bene. Tastandosi il viso, si rese conto di non avere gli occhiali. Immagini ondeggianti e sfumate gli fecero comprendere di non essere più nella bianca distesa di Arendelle, ma in un luogo più sicuro, dove certamente non avrebbe rischiato di morire scelleratamente. Tastò il terreno con una mano, cercando di ritrovare il suo indispensabile accessorio. Il pavimento era gelido e roccioso, ergo erano in una grotta. Forse anche il tepore delle fiamme e l'ululato lontano del vento potevano suggerire tale cosa. I suoi occhi identificarono diverse figure davanti a sé, costringendolo a prendere rapidamente gli occhiali e metterseli alla bene e meglio.
    Nonostante le evidenti ammaccature dell’accessorio, quanto meno riusciva ora a dare un senso alle forme attorno a lui. Il suo corpo era privo di ogni veste, ma ben coperto da pelliccia e nelle vicinanze di un fuoco: chiunque lo avesse salvato sapeva come poter curare da una rapida ipotermia. Certo, forse era una conoscenza base per chi inabitava un mondo gelido e inospitale come quello di Arendelle, ma alla fin fine, fosse stato un individuo pericoloso, lo avrebbe semplicemente derubato e lasciato lì in mezzo alla tormenta a morire.
    Fu a quel pensiero - l’aspetto del suo salvatore - che Yami finalmente si concentrò sulla figura umana lì presente. Il focus della sua osservazione fu subito il vestiario assente del giovane, lasciando in bella mostra il suo fisico scolpito, andando subito a dubitare del suo raziocinio. Successivamente, capì che non dovevano esserci troppi anni di distacco fra di loro: i lineamenti affilati erano sì maturi, ma l’affilato sguardo ed il viso non erano di certo di un uomo adulto. Era certamente più giovane di Howell, nonostante questi non fosse l’esempio più adatto, poiché non invecchiava. I numerosi tatuaggi lo incuriosivano, soprattutto sulla loro natura: la particolare colorazione ed il tipo di simboli impressi sembravano appartenere più a qualcosa di arcano che ad un semplice ricordo d’inchiostro.
    Rimase così, fermo per alcuni secondi, ad osservarlo, finché il giovane Ayazaki non si schiarì la voce, tossendo. La tosse si fece più forte e fu costretto a spezzare lo sguardo, portandosi una mano davanti la bocca. Faceva quasi male parlare.
    Salve?” Balbettò, la voce bassa e rauca, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno. “Hello? Ci troviamo… ci troviamo ancora ad Arendelle, vero?
    Si sistemò i capelli, notando quanti cani ci fossero nella stanza. Ed ora, a toccarsi il naso, si sentiva un po’ appiccicoso… Con una smorfia di sorpresa, Yami presto realizzò che, ancora una volta, era stato un peso per qualcuno. La sua espressione si corrucciò, sospirando appena aria dalle sue labbra. Si tolse gli occhiali, passandosi una mano sul viso e strofinandosi gli occhi.
    Io… Grazie. Cioè, scusa, in verità. Sono stato un… Meglio, sono…” Sospirò nuovamente, rimettendosi gli occhiali. “Scusa.
    Si limitò a dire quello per il momento. Era ancora un po’... provato. Il suo umore non era certamente alle stelle e di sicuro rendersi conto di essere ancora una volta in bisogno di essere soccorso non aiutava la sua autostima. Gli sembrava quasi di essere una di quelle principesse dei videogiochi di Hikari. Com’era? Peach qualcosa?
    Leverò… subito il disturbo.” Disse, preparandosi ad uscire dalla coperta. Realizzò in un attimo il suo errore, ricordando di essere senza vestiti. “... cioè. Appena… Santo Kingdom Hearts, Yami.
     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    Una particolare tipologia di persone sembrava attirata da quella montagna: pazzi suicidi con vestiti inadatti e un fisico tutt'altro che temprato per sostenere le intemperie. Kouichi corrispondeva perfettamente a questa descrizione e anche il ragazzo che aveva salvato, doveva dire, non si allontanava da essa più di tanto; per giunta portava gli occhiali, che per chissà quale miracolo non si erano rotti. Non era per niente fatto per stare in mezzo a quei climi, bufera o meno. Chissà a cosa diavolo stesse pensando.
    Vanitas mugolò qualcosa nel sonno e il suo Fluttuo si precipitò accanto a lui, accoccolandosi fra le sue braccia, e il bambino lo strinse forte. Lo sentì singhiozzare, una lacrima sottile gli scese dal viso. Fissò la scena abbastanza stranito, ma non poté negare per l'ennesima volta il moto di tenerezza che provò nel vederli. In qualche modo la vita di Vanitas stava andando avanti, e dopo lo scontro a Shibuya qualcosa in lui e in quel mostriciattolo era cambiato. Non ultimo, gli occhi del Fluttuo erano di un argento intenso, un colore che non aveva mai visto in nessuna di quelle creature fino ad allora.
    Purtroppo questo non bastava a farlo stare meglio.
    Uscì dalla piccola grotta, in mezzo al santuario. C'era freddo, e la bufera infuriava fuori dal cerchio di cristalli; Telva e i suoi piccoli corsero subito fuori quando videro Hollo tornare con una preda, una lepre che doveva essere stato in grado di cacciare mentre la creatura si nascondeva dalla bufera. Hollo era un cacciatore notevole e sembrava che le sue abilità si fossero affinate quando Telva aveva avuto i cuccioli. Era una cosa stranamente umana, per una semplice volpe bianca. Fece il solito giro, controllò l'integrità dei cristalli e la presenza di eventuali intrusi, non trovando nulla. Era una giornata tranquilla.
    La sua mente continuava a vagare irrequieta. Kouichi era in giro per l'universo assieme a quell'altro ragazzo, Vanitas continuava a dormire sonni ora tranquilli e ora agitati, Hitomi era ancora in paese; in tutto questo c'era ben poco che lui potesse fare oltre a vegliare su di loro. Non era neppure un guerriero particolarmente potente, in fin dei conti, era solo un eremita che viveva in mezzo ai ghiacci. Quando mesi prima la bufera si era intensificata non aveva osato intervenire, ma i cristalli tintinnavano come se dovessero frantumarsi da un momento all'altro.

    Tornato nella grotta, si accorse che il ragazzo stava cominciando a svegliarsi. Ascoltò le sue scuse bofonchiate con un'alzata di sopracciglia, lasciandolo finire di parlare prima di rispondere.
    "No." disse semplicemente. "C'è ancora la bufera fuori. Puoi rimanere nel Santuario finché non sarà passata. Non ti sei ancora ripreso del tutto." lo squadrò con attenzione, ricordando cosa avrebbe dovuto portargli. "Aspetta qui." gli disse, e uscì di nuovo per andare a procurarsi quel che gli serviva.
    Tornò poco dopo con i suoi vestiti asciutti su un braccio, li aveva lasciati asciugare vicino ad un fuoco arcano; avrebbero forse puzzato un po' di fumo, ma almeno erano asciutti e anche abbastanza caldi da poterlo rinfrancare. Il peggio era passato ormai, e adesso poteva cominciare almeno a muoversi e magari mettere qualcosa sotto i denti.
    Gli porse i vestiti. "Vestiti. Se te la senti di alzarti fallo pure. Loro non calcolarli." indicò Vanitas e il Fluttuo. "Non ti faranno nulla."
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    In tutti i suoi viaggi, Yami non aveva mai avuto il piacere di capitare sotto le cure di qualcuno. Questo perché si era sempre meticolosamente tenuto lontano da situazioni problematiche, dopo l’esperienza di Port Royal. Forse con Charles c’era andato quasi vicino, ma alla fine era un uomo che si esprimeva a parole grezze che con effettiva violenza fisica. Questa volta, invece, fu proprio la disattenzione e l'ostinatezza del proprio orgoglio ad averlo cacciato in quella situazione.
    Abbassò lo sguardo sul sacco a pelo in cui era stato riposto, lo sguardo ancora leggermente annebbiato: era realmente così? Si sentiva a pezzi, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Non pensava più ad Howell ed al loro litigio, ma a quella fuga priva di senso che aveva appena commesso: che cosa pensava di ottenere buttandosi nella neve in quel modo? Aveva visto la bufera. Poteva semplicemente aprire un altro varco ed andarsene da lì, trasportarsi verso un villaggio vicino. Ne era capace, lo aveva fatto numerose volte in tanti altri mondi!
    Si era rifiutato di farlo?
    Aveva desiderato realmente continuare nella tormenta? Forse non ci aveva pensato abbastanza. Forse aveva semplicemente troppi pensieri per poter ragionare sulle conseguenze di quel che stesse facendo. Sì, ci dovevano essere spiegazioni razionali a quello che aveva fatto! Nessuna persona che avesse a cuore le proprie condizioni si sarebbe mai permessa di fare un simile sbaglio! Si portò una mano sul petto, cercando il proprio battito, quasi volesse appiggliarsi a quell'incessante ritmo. Era agitato. Perché si era reso conto che cosa aveva rischiato. Chiuse appena gli occhi, portandosi la mano libera sulla fronte, sollevandola con l’altro palmo e poggiandosi col gomito al resto del corpo.
    Aveva desiderato di finirla.
    Non aveva retto il litigio e tanto meno i suoi pensieri. Cercò di scacciare dalla testa quell’idea, ma oramai si era già insinuata nel suo cervello, serpeggiando liberamente, senza possibilità di fermarla. Non era quello che aveva detto anche con Honoka? Smettere di pensare, smettere di avere sentimenti… Aveva tentato di mettere tutto a tacere. Non se n’era reso conto, ma in quell’attimo senza lucidità aveva commesso un gesto estremo. L’istinto di urlare, afferrarsi la faccia e graffiarla come meglio poteva era forte, intenso come non mai. Allo stesso tempo voleva piangere, sentirsi vivo, iniziare a camminare per tutta la grotta pur di percepire nuovamente il calore del proprio corpo attivo, funzionante.
    Ma non fece nulla. Si limitò a guardare verso il basso, fin troppo immerso nei suoi ragionamenti, pensieri che si scontravano fra di loro, ma che al posto di produrre azioni, non producevano altro che freddo. Si sentiva apatico. Totalmente impensierito da non percepire più nemmeno i sentimenti scaturiti dalle parole che gli ronzavano in testa. Si dondolò appena, avanti ed indietro, finché non arrestò il proprio moto all’ingresso di Eldurinn.

    Quando terminò tutto il suo discorso, la lapidaria risposta del ragazzo lo lasciò di stucco, essendo quelle le prime parole che gli venivano immediatamente rivolte. Un po’ di calore si spostò sulle sue guance per l’imbarazzo, constatando che in effetti era impossibile andarsene via di lì senza attraversare di nuovo la bufera. Cercò di rinchiudere quel pensiero dentro una scatola, concentrandosi sul resto del discorso.
    Puoi rimanere nel Santuario finché non sarà passata. Non ti sei ancora ripreso del tutto.
    Santuario…?” Balbettò appena, sistemandosi nuovamente gli occhiali distrutti: avrebbe dovuto farli sistemare o direttamente cambiarli, dannazione.
    Ma non ebbe tempo di proseguire il suo quesito che l’uomo si allontanò, si doveva essere ricordato di qualcosa. Non passò molto che ritorno con i suoi vestiti, il che fece illuminare gli occhi del ragazzo, prendendoli con cura una volta porsi. Gli tremavano ancora le braccia.
    Vestiti. Se te la senti di alzarti fallo pure. Loro non calcolarli.
    Batté un paio di volte le palpebre e si voltò in direzione del dito, notando solo ora un bambino dai capelli corvini intento a dormire ed un… Cos’era quello? Assottigliò lo sguardo, cercando di categorizzarlo in una creatura che potesse conoscere, ma non riusciva ad individuare una benché minima somiglianza con un Heartless o un Nessuno: questi ultimi erano più umanoidi che animaleschi. Aveva colori troppo chiari per appartenere anche alla prima categoria e gli occhi non erano del classico colore ambrato a cui era abituato. Mentre si vestiva li guardò nuovamente, chiedendosi se potesse essere un fratello più piccolo o un parente del suo soccorritore. Ma a parte i colori dei capelli, non aveva motivazioni fondate per tali domande.
    Vestirsi fu più impegnativo di quel che si aspettava: era ancora un poco irrequieto e, nonostante ormai non temesse la presenza di qualcun altro all’interno del Santuario, non si sentiva affatto a suo agio. I vestiti non erano di certo i migliori per quel clima - non che potesse aver pianificato con cura di andare proprio lì ad Arendelle! - ma coprivano a sufficienza da dargli calore. Inoltre il fuoco lo teneva asciutto e ben riparato, per cui non doveva temere di muoversi all’interno della grotta. Si rialzò a fatica, lamentandosi del proprio status fisico, iniziando a stiracchiarsi una volta completamente in piedi. Non aveva neppure la sciarpa di Laozillo per potersi coprire. Gettò un ultimo sguardo sul bambino, pensoso, per poi voltarsi verso l’abitante del Santuario.
    Io… Sono Yami. Yami Ayazaki. Ti ringrazio per avermi…” Ammetterlo sarebbe stato il passo finale. Ormai non aveva senso per lui negare la realtà dei fatti. “ Salvato. Da me stesso, più che dalla bufera, oserei dire.
    Tacque nuovamente, questa volta cercando qualche altro oggetto di interesse che non fosse il ragazzo davanti a sé: era in estremo imbarazzo. Ridicolo come il primo sentimento che spuntava dopo la sua apatia fosse proprio quello.
    Posso aiutare in qualche modo? Ho… bisogno di rifugio per poco. Non disturberò una volta che la tormenta sarà finita e me ne andrò via. Non ho denaro con me, ma… so fare qualcosa. Credo. Spero…” Sospirò appena, sussurrando l’ultima parola a fior di labbra.
    Cercò di reprimere anche la curiosità che gli stava sopraggiungendo, cercando di appoggiarsi su una parete dietro di lui. Le mani presero a torturarsi a vicenda le dita, causando spesso piccoli scricchiolii fra le ossa, dovuti al torpore. Gli saltò subito all'occhio le tre piccole ferite dovute alla magia che si era autoinflitto e le nascose rapidamente, coprendole con il palmo. Si sentiva mortificato e nuovamente la sua testa stava riprendendo la precedente linea abbandonata. Fu per questo che decise comunque di fare qualche domanda.
    Scusa, ma… chi è questo bambino? E l’animaletto che gli fluttua a torno? Non… ho mai visto nulla di simile. Infine…” E qui il suo sguardo si sarebbe spostato su di lui. “Sei tu il guardiano di questo Santuario? Immagino di sì. Solo che… Non avevo idea esistesse. Ecco.
     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    La straniero si era svegliato, il che gli toglieva un peso dalle spalle. Gli era capitato molte volte in quegli anni di trovare qualche malcapitato, perso in una bufera, e di arrivare troppo tardi per salvarlo; lupi, orsi o il semplice morso dell'inverno erano sufficienti a uccidere anche il più forte; qualunque fosse il motivo della sua insensibilità al freddo, o per meglio dire la sua fortissima resistenza, non avrebbe saputo dirlo. Era sempre stato così e da che sapesse era sempre stato umano, al cento percento, non aveva alcuna ascendenza aliena. Forse era solo un effetto della magia, o dei cristalli del Santuario. In ogni caso non era niente a cui valesse la pena di pensare.
    Quando di solito trovava qualcuno già morto, il massimo che poteva fare era riportarlo ad Arendelle, avvolgendolo in una coperta o un lungo telo per evitare che i paesani si spaventassero, e consegnarlo al becchino. Era l'unico motivo per cui si trovasse a scendere fino alla città e sentiva di doverlo fare unicamente perché non voleva che le persone morte in quella montagna rimanessero senza una degna sepoltura, come la sua Maestra. Lei giaceva lì, in una profonda fossa che aveva scavato proprio in quel Santuario, lontana dal suo mondo d'origine nel quale comunque non aveva una famiglia. Solo due allievi scapestrati che erano partiti all'avventura.
    Era uscito dalla caverna per concedere allo straniero un po' di tranquillità, ed era andato come sempre a meditare dinanzi alla tomba della sua maestra. Nient'altro che una piccola lapide che aveva richiesto al cimitero di Arendelle, senza date di nascita né nomi, del tutto disadorna; la sua presenza nel Santuario sarebbe stata naturalmente meglio visibile, dato che risaltava un poco una volta abituatisi alla luce azzurrina che vi regnava gettando tutto in una penombra ultraterrena. Si era inginocchiato, e di nuovo il volto di Kouichi gli era tornato in mente. Gli accadeva di continuo in quel periodo, forte preoccupazione e sogni inquieti agitavano il suo già breve sonno. Lo vedeva ancora a Shibuya, dilaniato e bruciato dalla furia di Fastus, solo in mezzo ad un mare d'oscurità che non poteva scacciare nemmeno con la sua arma ancestrale; e lui era lì davanti a lui, che sentiva il bisogno di corrergli incontro, di raggiungerlo, di salvarlo anche a costo di venir inghiottito a propria volta da quel mare oscuro. Durante quel sogno si rendeva conto che non gli sarebbe importato di morire, se anche fosse riuscito a ricordarsi come fosse vivere per un singolo istante... ma al suo risveglio, quella frase scivolava dalla sua comprensione.
    Apriva gli occhi e si trovava di fronte alle pareti della grotta, con Vanitas che si agitava nel sonno e una crescente inquietudine in petto.

    "Maestra." mormorò. "Sono di nuovo preoccupato." chinò il capo. "Stanno succedendo troppe cose. Ma rifugiarmi nel Santuario non mi tranquillizza più. E sento..." si portò una mano al petto. "Perché ho così tanta paura di perderlo...?" ma quella domanda uscì in un sibilo talmente impercettibile che non lo avrebbe sentito nemmeno qualcuno che gli fosse stato a dieci centimetri di distanza. Tuttavia, sentì lo straniero, che si era chiamato Yami poco prima, farsi strada nel Santuario. Trasse un profondo respiro e si alzò. Si voltò verso di lui, attendendo le prevedibili domande che sarebbero giunte, ma alzò le sopracciglia al suo ringraziamento; aveva avuto dei sospetti, che gli erano appena stati confermati.
    "Non serve." assicurò. "Non c'è molto da fare qui." notò che, nonostante il ragazzo fosse piuttosto alto, lo sovrastava nettamente; ma anche se non lo avesse fatto la loro differenza di muscolatura era comunque notevole. Era più simile a Kouichi, forse in un mondo in cui avesse avuto accesso ad una vita migliore almeno dal punto di vista del cibo e dei ritmi. "Ma hai molto a cui pensare, se ti ho salvato da te stesso." la sua voce era severa; anni di isolamento non nutrivano l'empatia.
    Alla domanda su chi fosse Vanitas però si bloccò. Sembrava inoffensivo, o comunque troppo debole per rappresentare una minaccia, ma questo non voleva dire che potesse spiattellare in giro i segreti che lui e Kouichi custodivano gelosamente. Nemmeno Hitomi era a conoscenza della vera identità di Vanitas, ma si era guardata bene dal fare domande. Lo straniero non era in malafede, di questo era sicuro; e tuttavia non voleva dirgli apertamente chi fosse quel bambino, poiché si sarebbero state troppe spiegazioni da fare e non era la persona più adatta per quel genere di cose. Era già tanto che parlasse, e quello era solo merito di Kouichi.
    "Sì. Sorveglio io questo Santuario." annuì alla sua ultima domanda. "E' nascosto e difficile da raggiungere per gli umani. Non so perché è qui, c'era già quando sono arrivato." si era risvegliato lì, tanti anni prima; ma la sua Maestra aveva detto che non era stata lei a crearlo e che l'aveva trovato per puro caso molto tempo prima, da ragazza, durante le sue numerose peregrinazioni in giro per i mondi. Aveva viaggiato in lungo e in largo e aveva visto molti posti, ma quella zona, che aveva soprannominato Santuario, le era rimasta nel cuore. "Quando posso cerco di salvare chi ha sfidato la montagna e ha perso."
    Esitò su Vanitas. Poté solo dire la prima cosa che gli veniva in mente, sperando che bastasse.
    "E' mio figlio." disse, ma nel pronunciare quella parola sentì qualcosa, come miele caldo, calarsi nel suo petto. Come se un pezzo di un mosaico sconosciuto avesse trovato un posto. "E' malato. Il Santuario diminuisce la sua febbre."
    Il resto della sua spiegazione fu inghiottito dallo schiocco di un ramo spezzato. Si voltò verso uno degli ingressi del Santuario, dove un gigantesco orso nero, più massiccio di molti dei suoi simili e con la pelliccia ricoperta di cicatrici, si faceva avanti a passo circospetto. Rimase immobile a guardarlo, e l'orso fece lo stesso; un lungo scontro di sguardi, silenzioso e teso, ebbe luogo di fronte a Yami.
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    Il Santuario era un luogo molto diverso rispetto ai soliti edifici a cui Yami era abituato: la struttura non sembrava essere conforme allo stile tipico dei villaggi di Arendelle, quindi doveva essere precedente all’attuale era del mondo. Quelle stalagmiti - stalattiti? Confondeva costantemente le due parole - glaciali che spuntavano dal terreno erano un ulteriore punto di interesse: erano normali? Create dall’erosione di una superficie ghiacciata? Movimenti sismici per caso? Per sua sfortuna aveva lasciato il taccuino a casa. Anche se non poteva di certo preoccuparsi di prendere appunti in quel momento ed era un bene che non li avesse portati con sé, viste le sue recenti azioni. Quel libricino non conteneva soltanto ciò che aveva imparato durante i suoi viaggi, ma era per lui un rifugio in quegli attimi in cui i pensieri riuscivano a dominare sulla ragione, viaggiando fra i disegni dei compagni che aveva incontrato - doveva assolutamente finire il disegno di Honoka ed appuntare quanto era successo ad Atlantica! Dannata Leviathan, quello era certamente un evento non poco importante! - e rivedendo formule o note di quanto aveva già vissuto. Spesso si soffermava sulle prime pagine, quelle riguardanti il fatidico incontro a Port Royal con Key, Akari, Yuki, Kesmit ed Edward. A pensarci ora, fra l’imbarazzo che riprovava costantemente ogni qual volta che ripensava al furto della nave, un sorriso divertito si insinuava fra le sue labbra: una situazione così assurda che lo divertiva ogni volta che la rileggeva.
    Avrebbe mai scritto della giornata che stava vivendo? Molto probabilmente no: era ancora difficile elaborare ciò che la vita gli aveva gettato contro, in quegli attimi successivi al suo risveglio. Voleva ancora sperare che fosse tutto un brutto sogno, che nell’ultima ora lui ed Howell non avevano realmente litigato. Nonostante questa vacua speranza ed i tentativi di convincersi di quanto tutto ciò fosse irreale, era ancora arrabbiato con lui e non poteva non esserlo dopo tutto quello che gli aveva detto e quanto ancora gli stava celando. Perché comportarsi in quel modo? Cosa gli era successo da portarlo a reagire così? Non era una richiesta che aveva mai avanzato, temendo di sembrare inopportuno, ma avrebbe desiderato gridargli che necessitava ancora di sentire che qualcuno provasse a capire la sua opinione! Perché era così difficile? Perché soltanto alcuni erano capaci di prestare orecchio, mentre tanti altri si perdevano a discutere inutilmente sulle incomprensioni? Era stancante.
    Il Sistema era grande, complicato, ormai coinvolto in una guerra che, prima o poi, avrebbe travolto con sè tutti loro: perchè mettersi a bisticciare inutilmente, innervosirsi ed arrivare a minacciarsi, quando c’era ben altro di cui preoccuparsi? Yami sospirò, un crescente mal di testa lo stava indebolendo, impedendogli di ragionare lucidamente. Si portò una mano sul capo, quasi a sorreggerlo: gli pesava così tanto in quel momento.
    Si mosse nel Santuario, ricercando nuovamente Eldurinn per potergli parlare. Gettò prima un’ultima occhiata al piccolo bambino ed alla creatura che gli girava attorno, il viso assorto in un’espressione contrita: qualunque cosa stesse sognando non erano di certo sogni tranquilli. Non volle disturbarlo ulteriormente, per cui decise di muoversi, seguendo la direzione verso la quale si era diretto il Guardiano.
    Quando lo trovò, lo vide inginocchiato, facendolo esitare nel porre la sua richiesta. Quando si rialzò in piedi si rese effettivamente conto di quanto fosse alto, superandolo di molto rispetto a quanto aveva pensato sdraiato a terra. Forse era lo sguardo sempre neutrale ed il portamento fisico a spingerlo a pensare fosse un orso molto asciutto, ma di certo non sarebbe stata carina come frase da dire.
    Non serve. Non c'è molto da fare qui.” Rispose alla sua domanda e per un attimo vacillò nel sentire pronunciare quelle parole. “Ma hai molto a cui pensare, se ti ho salvato da te stesso.
    Era stato così severo nel dirglielo che non poté far a meno di ammutolirsi subito, sbarrando gli occhi. Un unico singulto, come un verso strozzato di un uccello in volo, fu l’unico suono che uscì dalle sue tremanti labbra. Abbassò lo sguardo. Se non si fosse trovato davanti a qualcuno, probabilmente sarebbe scoppiato a piangere. Era causato da quell’insieme di sentimenti che aveva tenuto dentro di sé fino a quel momento? Se non altro, la sua testa gli stava urlando di vergognarsi ad aver minimamente pensato di compiere un simile atto in quelle circostanze.
    Sumimasen.” Riuscì a dire dopo poco, questa volta strofinando un occhio da sotto la lente dell’occhiale.
    I nuovi pensieri lo distrassero dall’esitazione di Eldurinn nel rispondere alla domanda riguardante il bambino. Ma fu più attento nel sentire un’effettiva spiegazione riguardante il suo ruolo nel Santuario.
    E' nascosto e difficile da raggiungere per gli umani. Non so perché è qui, c'era già quando sono arrivato. Quando posso cerco di salvare chi ha sfidato la montagna e ha perso.
    Oh… Quindi è molto comune da queste parti. Chi l’avrebbe mai detto…” Borbottò, cercando di riprendere forza di spirito per quella conversazione. “Dunque dev’essere un luogo che risale ad altre civiltà. Magari apparteneva a qualche culto per un Eone oppure… Scusa, commento fuori luogo.
    L’effettiva risposta sull’identità dell’altro abitante del luogo lo colse impreparato e si sentì stranamente più tranquillo nel comprendere che quell’individuo era qualcuno a cui teneva in particolar modo. Alla fin fine, perché doveva dubitare di lui? Se avesse voluto fargli del male ci sarebbe riuscito tranquillamente. Non che avesse alcuna necessità di veder dimostrato il contrario, quanto più bastava osservarlo per capire che, alla loro attuale distanza, anche il più potente dei maghi si sarebbe trovato qualche costola fratturata.
    Mi dispiace sentire stia male… Spero si riprenda presto. Immagino che la normale magia non aiuti!” Ridacchiò appena, sistemandosi gli occhiali. “No, che sciocco, l’hai detto che è il Santuario ad aiutarlo…
    Ma non ebbe tempo di porgere altre domande che vide il suo interlocutore voltarsi verso una delle entrate del santuario. Seguì il suo sguardo e si irrigidì alla vista di quell’enorme massa nera dall’altro lato dei propri occhi. Era gigantesco. Era forse possibile sentirsi così piccolo in due istanze a così breve distanza di tempo? Ne aveva appena avuto la conferma. Il passo era cauto, certamente era un animale che - viste le ferite - si aggirava spesso in campi dove era facile scontrarsi. Esattamente come con Eldurinn, temeva che anche quell’orso l’avrebbe potuto divorare in un solo boccone. Per tutti i mondi, adesso sì che dubitava realmente delle proprie capacità magiche!
    Eppure non un suono o un attacco partì in quel territorio sacro, ma un gelido duello fatto di sguardi e di attesa. Yami mosse un piccolo passo all’indietro, trattenendo il respiro come meglio poteva. Le sue mani tremavano tremendamente: aveva paura? Sì, ne aveva eccome. Aveva affrontato da poco un serpente marino, ma nonostante ciò aveva il terrore di una creatura estremamente più piccola - in confronto - davanti a sé. In quel momento si sentiva ancora insignificante, troppo debole per poter fare la differenza in quella situazione. Le piccole luci che scintillavano attorno alla sua mano tentavano, forzatamente, di evocare qualcosa, richiamare il proprio catalizzatore a sé. Erano fioche, prive di quel chiarore che spesso accompagnava la congiurazione di Gaengsaeng.
    Ma poteva lasciare uno stallo simile davanti a sé? Non riusciva a prendere una decisione, il suo bastone sembrava non giungere in suo soccorso e quello che era un potenziale nemico non aspettava altro che un passo falso nelle loro azioni! Sempre più spinto da incertezze, la luce si spense definitivamente, e Yami sollevò un braccio, puntandolo fra loro e l’orso.
    Reflera…?
    Così come suonava incerta la domanda, incerta fu anche la stabilità della sua magia: piccoli specchi vetrati si stagliavano dove aveva indicato il giovane Ayazaki, ma tremanti come se scosse da un vento leggero. Era sufficientemente largo da creare una sorta di muro trasparente fra loro, ma Yami non era certo sarebbe bastato. Al manifestarsi completo di quella barriera, abbassò sconfitto la mano, sospirando, un misto di tristezza e paura.
    Fantastico. Di nuovo non riesco a controllarmi…
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    Il Santuario non era un luogo come altri. Una magia sconosciuta e risalente a tempi che nessuno ricordava viveva al suo interno, gestendo il mondo in modi del tutto diversi rispetto al resto del mondo e persino del resto del Sistema. Persino arrivarci coi varchi oscuri era più complicato di quanto sembrasse, il fatto stesso che Kouichi ne fosse in grado poteva quasi essere considerato un miracolo; ma il vero prodigio era proprio l'influenza che quei cristalli luminescenti avevano sulla natura. Gli alberi d'inverno non perdevano le foglie ma era come se si addormentassero, diventando candide statue ricoperte d'argento; il terreno perdeva vigore, ma bastava poggiarvi una mano sopra per sentire il Mana fluirvi all'interno come il placido palpitare delle vene di una bestia sopita. Qualsiasi fosse la natura del Santuario, quale fosse la verità sulla sua fondazione ed esistenza, ne era del tutto all'oscuro e non voleva nemmeno informarsene; dubitava che fosse rimasto in ogni caso qualcuno che potesse parlarne, se persino nel periodo di gioventù della sua maestra esso era già lì, immutabile.
    Se le piante avevano un ritmo del tutto diverso al cospetto del Santuario, anche gli animali non erano esenti dalla sua influenza. Quando vide l'orso entrare nei suoi confini rimase immobile ad osservarlo, ma Yami era troppo preso dalla sua umana paura per rendersi conto che non aveva estratto armi né preparato magie.
    Al brillio della superficie traslucida e fragile del Reflera del ragazzo, l'orso rispose guardingo, la schiena arcuata e le spalle che mostravano la sua intenzione a sollevarsi in piedi, pronto a farsi vedere di fronte al proprio sfidante in tutta la propria impressionante stazza; ma il suo sguardo andò prima sul custode del Santuario, e sembrò trattenersi dal fare qualsiasi cosa.
    "Non farlo." disse solamente a Yami. "Non ti servirà."
    Era cosciente che si trattasse di qualcuno capace nell'uso della magia; anche un mago dilettante avrebbe saputo mettere in fuga un semplice animale, gli sarebbe bastato usare un paio di incantesimi giusti senza farsi prendere dal panico; Yami parlava di non riuscire a controllarsi, segno che la sua magia poteva essere fortemente legata all'emotività. Maghi di quel genere erano del tutto imprevedibili, capaci di scatenare grandi magie e subito dopo di essere vulnerabili come gattini appena nati se la battaglia volgeva al peggio e il loro morale subiva duri colpi.
    L'orso rimase in attesa, e lui fece un passo avanti.

    "Svartand." disse avvicinandosi alla creatura. "Conosci le regole del Santuario." l'orso fece un passo indietro; si accorse che aveva una ferita alla zampa posteriore destra, sembrava il morso di un lupo, ma non era andato abbastanza a fondo da farlo zoppicare. "Ti sei di nuovo messo nei guai, vedo. Cominci ad essere troppo vecchio per azzuffarti coi lupi. Dovevi capirlo, quando hai perso contro di me."
    Si chinò dinanzi all'orso, il suo viso a pochi centimetri dal muso dell'orso; la condensa dal tartufo lucido si innalzava come nuvole di fumo, superandolo. Pose entrambe le mani sul collo della creatura, che si lasciò toccare senza protestare; un influsso benefico uscì dalle dita del protettore del Santuario, venature azzurre si avvinghiarono intorno al corpo dell'orso, lo percorsero fino ad arrivare alla ferita; e lì si adoperarono come decine di piccoli sarti invisibili, che con maestria maneggiavano gli aghi e ricucivano la ferita causata dal morso dei lupi. Durante tutto il lavoro della sua magia, Yami avrebbe potuto notare che l'uomo teneva gli occhi chiusi; e l'orso non protestava né accennava a volerlo attaccare.
    Dopo qualche tempo si alzò, e l'orso si scosse mandando dappertutto scintille azzurre che svanirono nell'aria. Riservò un ultimo sguardo disinteressato ai due e si avviò nel Santuario, ignorando tutti quanti e andando ad acciambellarsi vicino alla piccola grotta.
    "Forse veneravano qualcosa." disse a Yami. "La sua magia è rimasta qui. In questo posto non esistono prede né predatori. Svartand è un vecchio dal brutto carattere, ci siamo sfidati molte volte. Non ci farà del male. Nessun animale si sporca del sangue di un altro nel Santuario." spiegò. Sapeva di fare molta fatica ad esprimersi correttamente e non si sarebbe meravigliato se Yami gli avesse fatto altre domande, o gli avesse chiesto di ripetersi. "Vedi?" aggiunse, indicandogli come Svartand sonnecchiasse tranquillamente vicino alla grotta, con Hollo che lo annusava circospetto e dispettoso come sempre.
     
    Top
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    Non farlo.
    Quella frase riecheggiò nelle sue orecchie, come un tuono durante una notte di tempesta. Le mani gli tremarono nuovamente e strinse i pugni con forza, vedendo ora la figura dell’orso iniziare a diventare più grande e più alta, pronta ad abbattersi su di lui. L’istinto di sopravvivenza gli diceva di correre, ma le sue gambe erano totalmente paralizzate dalla reazione che l’animale aveva appena avuto nei suoi confronti. Nonostante ciò, doveva capirlo che era stata una reazione naturale: aveva agito lui per primo, preventivamente, come se si fosse chiuso a riccio. D’altronde, Eldurinn era rimasto completamente indisturbato dalla sua presenza.
    Con un gesto secco, mosse le braccia verso il basso, riaprendo le mani per sferzare l’aria con le dita. I cristalli della magia, perfetti esagoni di vetro, si incastrarono tra loro, ritrovando finalmente l’equilibrio che tanto avevano ricercato dalla loro invocazione. Tutto si ruppe con un semplice schiocco, polverizzandosi in una leggera pioggia vetrata, simile alla prima nevicata mattutina. Lasciò che tutta l’aria uscisse dai propri polmoni, espirando con fatica: non sapeva dire se fosse stata la tensione del momento o la delusione per essere stato incapace di gestire la propria forza magica. Così com’era uscita, l’aria ritornò subito dentro di lui, trattenuta appena dal muoversi del Guardiano verso lo scorbutico animale.
    Eppure la sua voce, l’indifferenza - anche nel dire il suo nome! - del suo tono, lo faceva sembrare così sicuro di sé che si domandava perché avesse avuto anche solo per un attimo avuto l’idea che qualcosa potesse andare storto. Addirittura sembrava capace di fargli la paternale come se fosse un bambino: quel quadrupede era immenso! Sgranò gli occhi anche alla rivelazione che lo avesse battuto personalmente a duello: che razza di individuo aveva appena incontrato?
    Certo, ne aveva incontrate di persone strane durante i suoi viaggi - lui stesso si poteva includere in una simile categoria! -, ma combattere gli orsi? Un concetto così estraneo per una regione come Arendelle che si chiese se non avesse sbagliato mondo. Eppure era lì, Eldurinn: forse totalmente opposto a quel che lui era capace di fare. Lui destreggiava parole e magie, certo, ma… il Guardiano era diverso. Era diretto, più forte fisicamente - ancora non sapeva dire se anche mentalmente - e capace di poter accudire una belva simile come se fosse un cucciolo. Ancora una volta si metteva in paragone con un mondo a lui totalmente estraneo e non poteva rimanerne indifferente.
    Osservò silenziosamente la magia curativa diffondersi nel pelo dell’orso, annotando mentalmente come anche il suo aspetto sembrava venir influenzato dall’inverno che li circondava. Inoltre gli sembrava essere più potente di un normale Energia: che il Santuario influenzasse anche le cure? Doveva essere così, anche per ciò che aveva detto Eldurinn sulla presenza di suo figlio lì.
    Tornò concentrato quando l’uomo si rivolse nuovamente a lui, dandogli spiegazioni.
    In questo posto non esistono prede né predatori. Svartand è un vecchio dal brutto carattere, ci siamo sfidati molte volte. Non ci farà del male. Nessun animale si sporca del sangue di un altro nel Santuario.
    Corrucciò la fronte e la sorpresa non diminuì quando vide il cane di prima ora girare allegramente attorno all’orso, deciso a disturbarlo. Tutto ciò…
    Era contro ogni legge.
    Un terreno sacro capace di impedire qualsiasi scontro fra chi vi si trova all’interno? Un orso che non reagisce alle provocazioni di un cane più piccolo di lui, quasi come un anziano uomo disturbato da un ragazzino? Vedeva, eccome se vedeva, ma in parte la sua mente si rifiutava di comprendere. Per meglio dire, capiva quello che stava succedendo, realizzava quanto potente - e probabilmente antica! - fosse la magia di quel luogo, però…
    Era triste che una simile cosa fosse ottenibile solo con la magia. Sospirò. L’ennesimo della giornata.
    Chiedo… Chiedo scusa.” Si sistemò le maniche, sistemandosi i guanti nel mentre, come se fossero un’esigenza importante al momento. Non riusciva a stare fermo. “Mi sono spaventato.
    Rimase lì per ancora qualche secondo ad osservare l’orso. Scoppiò improvvisamente a ridere, coprendosi la bocca con la mano.
    Dio, perdonami. E’... tutto così assurdo. Questa giornata, questa… magia.” Cercò di tornare calmo. passandosi ora le dita fra i capelli. “Un attimo mi metto a litigare con la mia famiglia, quello dopo vengo salvato in mezzo alla neve ed ora scopro di un luogo mistico dove… Ah, nulla, lasciamo perdere.
    Si appoggiò al muro della sala, sentendo improvvisamente la forza delle proprie gambe venir meno: sembravano quasi molli. Si sentiva decisamente a disagio in quel momento. Forse non aiutava il fatto che Eldurinn fosse così taciturno, ma non poteva dargliene colpa. Voleva occupare quel silenzio, evitare di pensare, trovare un modo per ignorare i suoi pensieri, le domande che aleggiavano nella sua testa.
    Quanto lontano è il villaggio più vicino?” Chiese semplicemente, ora lo sguardo che vagava dalla punta delle sue scarpe al Guardiano.
     
    Top
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    "La paura non è sbagliata."
    Yami si sarebbe potuto accorgere che parlare con lui non fosse facile. Anche quando aveva molto da dire lo esprimeva sempre con frasi molto brevi, stentate, di chi non era abituato a fare lunghe conversazioni. Non gli serviva, di solito, neppure con Kouichi o Hitomi Kageyama. Kouichi riusciva a capire molte cose da un suo sguardo, e Hitomi era così preoccupata per il suo scellerato figlio da non avere a cuore di conversare a lungo con lui in ogni caso. E ora che Revan non c'era più era come se l'unica cosa che tenesse tutti loro insieme si fosse sfaldata.
    Era l'ennesima prova che la struttura sociale umana non era differente da quella di qualsiasi altra creatura di branco. Nuove dinamiche andavano a crearsi quando il vecchio capobranco veniva spodestato, allontanato o ucciso; ma loro non erano un branco a cui interessasse davvero trovare un nuovo leader. Così, pian piano, era come se stessero cercando un'organizzazione per conto proprio, ognuno per sé, ma tutti accomunati dall'unico desiderio di vegliare sul piccolo Vanitas e assicurarsi che non gli succedesse nulla. Qualcosa che fino a pochi mesi avrebbe dato per impossibile... perché Vanitas era un mostro crudele.
    E tuttavia, quale mostro crudele si metteva contro un nemico come Fastus con tutte le proprie forze, pur di proteggere qualcuno che poteva considerare inferiore? Senza Vanitas, molte cose a Shibuya sarebbero andate molto peggio. Aveva sacrificato se stesso, le proprie energie, lottato contro un membro dell'élite di Fastus solo per proteggere Kouichi, e Revan, e Basil, e persino lui. Lui che, senza la minima esitazione, aveva manifestato una lancia di ghiaccio per trafiggergli il cuore. Proprio come Svartand, anche lui aveva dovuto imparare che non tutti rappresentavano una minaccia per la propria incolumità.
    "Senza la paura moriremmo." Continuò, guardando il suo ospite in viso. Era il viso di un giovane che aveva conosciuto il dolore, ma non lo aveva capito. Un cucciolo che seguiva ancora gli adulti nelle sue prime cacce, ma che ancora non comprendeva l'importanza di esse e veniva solo sballottato dal branco da tutte le parti. "La paura è l'istinto di fuggire e di combattere. Non potevi sapere di Svartand. Ma hai agito saggiamente. Hai atteso."
    C'erano molti dubbi nella sua voce, che gli pareva quasi tremare sotto il peso di troppi pensieri. Non era mai stato empatico, tutto ciò che leggeva delle persone lo doveva all'istinto di sopravvivenza. Yami non era pericoloso, perlomeno, non per altri.
    Ma lo era molto per se stesso.

    "Mistico..." Ripeté, con uno sbuffo intenerito. "Quanto di tutto questo è magia? La natura è complessa e caotica. Le sue leggi sono più varie e ramificate di questi alberi. Tutti hanno il loro posto. Anche tu ed io."
    Vanitas dormiva ancora il suo sonno tormentato. Carezzò il suo visino, grani salini grattarono appena contro il suo pollice. Di nuovo, piangeva nel sonno. Se Yami avesse continuato ad osservarlo, avrebbe visto per un momento il contegno del possente guardiano venire meno. Un'ombra piena di dolore aleggiò sul suo viso, scacciata con un triste sospiro.
    "Arendelle." Disse in tono cupo, ascoltando la sua domanda. "Dovresti scendere dalla montagna attraverso un sentiero. La tempesta si sta placando e posso accompagnarti." Si alzò in piedi, guardando Vanitas con lo stesso peso nel cuore di un padre o di un fratello che, impotenti, potevano solo osservare una vita che si spegneva lentamente. "C'è una cosa che devo fare anch'io." Estrasse dal baule un pesante mantello. "Metti questo. Non sei in condizione di viaggiare in quel modo. Me lo ridarai a destinazione." Avrebbe atteso che lo mettesse, per poi porglisi davanti, del tutto indifferente al gelo di quel mondo.
    "Le mie provviste stanno finendo." Spiegò. "Spero non ti dispiaccia la compagnia."
     
    Top
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    "La paura non è sbagliata."
    Yami si era accorto dell’impegno - non indifferente - che Eldurinn stava compiendo nel parlargli. Forse rimanere per così tanto tempo al gelo, in quel santuario, lo aveva reso restio dal parlare con gli estranei. Oppure era sempre stato così e non ci sarebbe stato comunque nulla di male. Sicuramente si era evitato molte più rogne di quel che qualcuno di normale si potesse aspettare. Alzò lo sguardo, incontrando nuovamente quei gelidi, seri, ma non vuoti, occhi del Guardiano. Lo diceva con lo stesso tono semplice, ma efficace, con cui aveva sempre parlato fino a quel momento: ciò che la tonalità non comunicava, era trasmesso nella scelta delle parole. Non era abbastanza lucido - e ciò era più che chiaro - dal riuscire al volo a riconoscere il vero significato di ciò che diceva, ma nonostante ciò non vedeva in quel che diceva nulla di accusatorio. Forse, per Eldurinn, lui non era nemmeno così diverso dall’orso che aveva appena curato: non era anche lui alla ricerca di un modo per guarire le sue ferite? Seppur diverse, non visibili, di quelle del vecchio mammifero, non si sentiva a sua volta sconfitto?
    "Senza la paura moriremmo."
    La paura era un istinto, qualcosa di incontrollabile. Un sentimento umano che esisteva dall’inizio del loro primo pianto. Si chiedeva se anche Howell, alle volte, non avesse provato paura da quando era diventato Nessuno. Se anche lui avesse guardato nel buio e si fosse fatto le sue stesse domande. Trattenne quasi il fiato a sentire quella frase, distogliendo solo in quel momento lo sguardo dall’uomo. “Morire, eh?” Pensò fra sè e sè.
    Eppure non avere alcun timore implicava non avere costantemente voci e dubbi nella testa. Che preoccupazione si poteva avere, se non si temeva ciò che si voleva affrontare?
    La paura è l'istinto di fuggire e di combattere. Non potevi sapere di Svartand. Ma hai agito saggiamente. Hai atteso.
    Non… Ti ringrazio.
    Nonostante ciò, era poco convinto. Aveva agito saggiamente? No, il suo primo istinto era stato quello di proteggersi codardamente, qualunque fosse stata la reazione dell’animale. Attendere, in un vero combattimento, poteva risultare fatale. Aspettare, in una conversazione, poteva dimostrare disinteresse o addirittura danneggiare quel poco di cui si era appena parlato. C’era il giusto momento per attendere e Yami si era presto reso conto di come quella tempistica precisa, in realtà, non esisteva altro che la regola. Perché aveva visto da sé che cosa poteva creare l’esitazione. Era stato incapace.
    Lo era stato e ne stava pagando le conseguenze.


    Un piccolo, primo, sentimento, Eldurinn lo mostrò al suo farfugliare incomprensibile sulla magia del posto. Sembrava quasi intenerito da un simile gesto, cosa che lo portò all’imbarazzo estremo, visto che non aveva minimamente idea di come reagire. Anche perché - per gli Eoni, gli venne da aggiungere! - adesso doveva dimostrare di non essere solamente serio?!
    Quanto di tutto questo è magia? La natura è complessa e caotica. Le sue leggi sono più varie e ramificate di questi alberi. Tutti hanno il loro posto. Anche tu ed io.
    Tutti hanno il loro posto…” Ripetè, a fil di voce, osservandolo avvicinarsi al bambino con cautela.
    Aveva un posto, lui? In quel gigantesco Sistema che lo vedeva camminare, sapeva dove dover andare? Per un anno intero aveva creduto che il suo scopo fosse ritrovare la sua famiglia, riunire quei rami caduti lontano dall’albero, nel tentativo di ricreare una stabilità. Intanto aveva studiato, viaggiato, cercando di apprendere il più possibile da ogni mondo, persona o cosa incontrasse durante il suo vagare.
    Eppure lo aveva capito una volta tornato a casa con Hikari ed Howell: non sentiva che il suo viaggio si fosse concluso. Erano iniziati i primi allenamenti a Midgar, le prime notizie dai fronti di guerra. Si erano trasferiti per tempo, ritornando nella vecchia dimora Ayazaki e separandosi di tanto in tanto solo per eventi particolari.
    Poi c’era stata Atlantica.
    Non era stato abbastanza forte. Ne erano usciti indenni, sì, ma non era stato capace fino in fondo di poter aiutare. C’erano volute forze esterne - e per ironia della sorte, mistiche! - ad aiutarli a raggiungere il loro scopo. Se non fossero intervenute prima che arrivasse, Honoka sarebbe…
    Se c’era un posto per lui in quell’universo, non lo aveva ancora trovato. E chissà se mai ci sarebbe riuscito.
    Nonostante i suoi pensieri fossero più forti dei suoi sensi, non faticò a notare l’espressione di Eldurinn ottenebrarsi e farsi sempre più rigida. Non aveva indagato - e non avrebbe osato - sulle condizioni del bambino, ma di certo riusciva a vedere che neppure lui sembrava vivere a cuor leggero in quel santuario.
    Arendelle” La risposta lo sorprese non poco: il varco lo aveva portato non troppo lontano da dove si erano incontrati lui e Susanne. “Dovresti scendere dalla montagna attraverso un sentiero. La tempesta si sta placando e posso accompagnarti.
    In parte trasalì nel vederlo rialzarsi perché per un attimo non gli sembrò così differente dall’orso di poco prima, ma si calmò velocemente, anche perchè sarebbe stato imbarazzante spiegare perchè si era subito raddrizzato nel vederlo rialzarsi. Non disse nulla una volta che gli porse il mantello, accettando di buon grado e coprendosi accuratamente: no, di sicuro non sarebbe resistito ad un’altra traversata in quelle condizioni.
    Spero non ti dispiaccia la compagnia.
    Affatto!” Si affrettò a confermare, scuotendo le mani davanti a sé. Anche se sarebbe risultato un po’ goffo in tale movimento, visto il peso del mantello. “Di sicuro mi potrei perdere se dovesse rialzarsi la tempesta. Di certo voglio… evitare.
    Avrebbe atteso che anche Eldurinn fosse pronto per partire ed avrebbe varcato la soglia del Santuario, seguendo le sue indicazioni per il villaggio a cui erano diretti.
     
    Top
    .
  12.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    La bufera si placava, il segnale che per Yami era giunto il momento di andare; aveva altro da fare e da vedere, e non era consuetudine che gli ospiti del Santuario rimanessero a lungo. Finito il suo riposino, anche Svartand sarebbe tornato alle proprie faccende, cacciando altri animali, pescando o scavando nel terreno. Un moto continuo nel quale la solitudine non aveva posto nemmeno per gli animali. Nemmeno per lui; quei sentimenti emergevano solo quando Kouichi e Vanitas riaprivano quelle porte che lui aveva chiuso da tempo all'umanità. L'umanità stessa era un concetto che non poteva vivere distaccato dalla natura, quando ci viveva in mezzo.
    Sistemò le coperte di Vanitas e pose una mano sul grande corpo impellicciato del vecchio Svartand, che aprì l'unico occhio che gli era rimasto con curiosità. Si chinò su di lui, in una silenziosa comunicazione che terminò con l'orso che richiudeva gli occhi, accucciandosi indifferente alle provocazioni di Hollo ancora una volta. Sospirò.
    "Veglia su di lui mentre non ci sono." Concluse, per poi voltarsi e prendere un robusto bastone nodoso poggiato ad uno dei cristalli. Non portò mantelli né cappucci; non ne aveva bisogno, come sempre. "Andiamo, Yami."

    Eldurinn guidò il ragazzo attraverso un sentiero piuttosto ripido e ben nascosto; era difficile per le persone arrivare al Santuario, se non conoscevano la strada. I sensi umani non erano abbastanza sviluppati da seguire le tracce e gli odori che guidavano lì gli altri animali. Tuttavia, teneva le orecchie tese e gli occhi pronti a cogliere ogni movimento sospetto: con la fine di una bufera gli animali uscivano dai propri rifugi, con ovvie conseguenze per chiunque si avventurasse allo sbaraglio in mezzo agli alberi.
    "Stammi vicino." Disse, guardandosi intorno. "I lupi sono a caccia."
    Lo avrebbe guidato fuori dal boschetto che circondava il Santuario, rispondendo poco e nulla alle sue domande e invitandolo al silenzio di quando in quando. Finché si trovavano in una zona con scarsa visibilità come quella, non potevano mettersi a fare troppo rumore. La loro poteva essere una magia potente, ma non era il loro posto mettersi a combattere con ogni creatura della quale stavano anche invadendo il terreno di caccia.
    Ma mentre camminavano, erano molti i dubbi che gli sorgevano riguardo a quel giovane. Il perché si trovasse nel bel mezzo di una montagna con vestiti poco idonei, o perché adesso volesse evitare di perdersi quando sembrasse essere andato all'inizio con quell'intenzione.
    Kouichi riusciva a capirlo. Entrambi avevano vissuto ai margini della società, seppur per motivi diversi: entrambi avevano disimparato la comunicazione. Ma mentre Kouichi era riuscito pian piano a riabbracciarla, per Eldurinn non era stato così semplice. Aveva sempre guardato con sospetto alla possibilità di tornare nella società, in mezzo ad altre persone: e Shibuya gli aveva fatto capire che non era ciò che voleva. Era tornato al Santuario per prendersi cura di Vanitas, nell'attesa del ritorno di Revan. E quella alla fine era la sua casa. Ma non era sempre stato così. Una volta, era come Yami. Un ragazzo curioso, pieno di domande e dubbi, che non reggeva la solitudine e lo schiacciante peso di una vita incomprensibile.
    A ripensarci ora avrebbe quasi potuto ridere: chiunque lo avesse incontrato adesso non lo avrebbe mai riconosciuto, e non solo per l'aspetto fisico. Il suo viso era diverso, la sua espressione, il suo portamento, non erano più quelli di un ragazzo spaurito che fuggiva dalla ferocia della vita. Il ragazzo che era stato non avrebbe mai affrontato l'Arma a Shibuya saltandovi contro con nient'altro che una lancia di ghiaccio.
    Ma forse era quel ricordo a spingerlo a capire quella persona. Forse il dolore, lo smarrimento dei suoi occhi, che ricordava qualcosa di troppo vicino.
    "Una volta sono uscito dal Santuario." Esordì, tastando il terreno col bastone. Non tutte le buche erano naturali; e alcune trappole dei cacciatori erano ben nascoste. Erano piuttosto lontani dal Santuario ormai. "Ero tanto più giovane. C'era una tempesta come quella di poco fa." Proseguì. Il suo tono di voce era calmo, eppur cupo. "E ho camminato fino a cadere." Si fermò, dinanzi a loro un sentiero in ripida discesa. "Perché volevi morire, Yami Ayazaki?"
     
    Top
    .
  13.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Keyblader
    Posts
    999
    Location
    Il Castello Bianco che Non (Dovrebbe) Esiste(re)

    Status
    Offline
    Non era mai stato da quelle parti di Arendelle: il motivo era semplice, la conoscenza che cercava era spesso basata sulle informazioni di chi abita quel luogo. Non era un esploratore, quanto un viaggiatore! Qualcuno che sicuramente sarebbe stato perfetto dietro una scrivania, ma che sarebbe risultato strano vedere camminare in una foresta, proprio come in quel momento. Eppure lo sguardo di Yami si perdeva spesso nell’oltre dei confini della sua casa, fra le righe descrittive di quei templi o rovine di cui leggeva spesso nei suoi libri. Poiché alla fine le prove sul campo sono quelle più importanti, non sarebbe mai bastata tutta la teoria del mondo per renderlo capace di superare le avversità che si nascondevano in quel gran Sistema in cui si trovavano.
    Aveva provato ad Atlantica a dimostrare ciò di cui era realmente capace, ma si era trovato in incredibile difficoltà, dovendo sormontare un’avversaria più grande - letteralmente - di lui. Non era solo e fu proprio l’unione delle forze di tutti loro che aveva permesso la loro vittoria. Aveva fallito? Se avesse chiesto al sè stesso di quel giorno, avrebbe certamente detto che era stato un momento da cui trarre spunto e potersi migliorare. Ma oggi, in quel momento, era convinto che il fallimento era l’unica strada che gli si parava davanti e che era stato lui stesso ad aprirla.
    Attingi al tuo vero potenziale” Gli disse Honoka, giorni fa.
    Ma ormai quel coraggio nato in quell’attimo di confidenza era stato seppellito sotto il pesante manto della tempesta nel suo Cuore.
    Seguì Eldurinn e rimase vicino a lui, come gli aveva consigliato: dopo l’incontro con il burbero ed anziano orso, era decisamente il caso di non allontanarsi dal Guardiano del santuario. Anche perché se aveva affrontato con estrema tranquillità un orso, chissà di cos’era capace contro un branco di lupi. Nonostante ciò, era meglio evitarli quanto più possibile. C’era qualcosa nel suo camminare che lo incuriosiva parecchio: se aveva facilmente capito che non fosse un uomo di molte parole, il suo silenzio sembrava quasi rumoroso, un cancello di cui solo pochi possedevano la chiave. Forse la madre - o altro padre, non che potesse saperlo - , nonchè suo partner, riusciva a comprendere bene quel che voleva esprimere senza parlare. Per Yami era un libro chiuso che lasciava soltanto scorgere la propria sinossi, senza permettere agli altri di vedere ciò che nascondeva dentro di sè.


    Una volta sono uscito dal Santuario.
    Aveva intimato al silenzio ed aveva seguito il suo consiglio, rivolgendogli giusto qualche parola per conoscere il sentiero da affrontare. Rimase stupito nel sentirlo iniziare una conversazione, alzando il capo chino sul sentiero e fissandolo con la fronte corrucciata.
    Ero tanto più giovane. C'era una tempesta come quella di poco fa.
    Men che meno si aspettava un racconto sul suo passato. Avevano parlato poco - per lo più si era fatto trascinare dagli sproloqui del giovane Ayazaki - e di certo non si aspettava qualcosa del genere. Rimase ammutolito, aspettando che proseguisse, sia fisicamente che nel proprio discorso.
    E ho camminato fino a cadere.
    L’aria attorno a loro gli parve più gelida che mai. Insidiosa, paralizzante. Il nodo alla gola che si strinse così velocemente da fargli perdere fiato. Le stesse narici che si stringevano in un verso strozzato.
    Cosa…” Sussurrò appena, ma non ebbe il tempo di parlare.


    Perché volevi morire, Yami Ayazaki?




    Non rispose. Semplicemente contemplò la sua figura, le labbra che non riuscivano a trovare un’espressione consona alla situazione. Gli occhi sbarrati, pieni di terrore, che ricercavano un punto fisso in quel bianco candore che ora gli sembrava intriso di sangue. Un sorriso sbieco, una piccola risata appena accennata.
    Morire? Io…?” Mosse un passo all’indietro. “No, io non volevo… Insomma, stavo soltanto andando via da…
    Miriadi di scuse, diniego totale per una situazione simile. Ma quanto a lungo poteva negare a sé stesso ciò che sentiva realmente dentro di sè? Non si rendeva forse conto della gravità del suo atto? Erano sempre le stesse frasi, le stesse parole che aveva ripetuto in diverse occasioni. Un tempo comparabili ad uno scherzo, ma oramai non così tanto lontane dalla realtà.


    Vorrei strapparmi il Cuore. Smettere di sentirlo pulsare. Non è giusto stare così per questa gente. Staccare il cervello ed eliminare qualunque sentimento possa provare oltre alla curiosità.

    Mi sento incoerente, inconsistente ed ho paura.



    “Ma si sa, ho un Cuore.”
    Si guardò il polso, cercando di togliere appena con un dito le schegge di ghiaccio rimaste.
    “Forse è esattamente quello il problema.” Si ritrovò a dire, i suoi occhi completamente vuoti.




    La maschera cadde. Le labbra che iniziavano a tremare, il respiro sempre più affannoso.
    Io… Volevo smettere di pensare.” Pian piano, nonostante volesse fuggire, cercò le parole giuste. Si afferrò la camicia con la mano, stringendola. “Non ce la facevo… no, non ce la faccio più.
    Iniziò a ridere.
    Ovvio che non ce la faccia più! Ognuno ha un posto in questo universo?!” Sembrava sbeffeggiarlo, ma così non era. Stava soltanto riprendendo le sue parole. “Dov’è il mio? Chi ha deciso che io dovessi essere così?
    Tremava, ma non per il freddo. Rabbia, paura, follia. Troppi sentimenti che creavano una miscela letale.
    Chiunque ha qualcosa, che sia giusta o sbagliata!” Sembrava quasi ringhiare dalla frustrazione. “Ma io? La mia intelligenza viene messa in dubbio ogni giorno, stracciata come fossero giornali usati. La mia forza non basta in questa Guerra! Un ragazzino è stato capace di superarmi in nemmeno due settimane!” Si guardò le mani, sfilandosi un guanto, mostrando la mano che portava ancora i segni delle ferite inflitte dalla sua stessa magia. “E quando sono emotivo, sono incapace di controllarmi! Sono stufo di pensare, sono stufo di provare sentimenti, perchè se non fosse per il mio FOTTUTO orgoglio, io non-...
    Pianse. Di certo in mezzo a tutta quella neve non avrebbe fatto differenza.
    Non avrei distrutto ciò per cui ho speso interi anni a ricercare.” Era bastato un litigio. “Ho speso così tanto tempo dietro a cose che ora mi si stanno ritorcendo contro. Sono stato stupido. Stupido. Non c’è un posto per chi non sa cosa farsene della propria vita.
    Si afferrò il viso, le gambe che pian piano cedevano. I singhiozzi e le lacrime sembravano lungi dal terminare. Era così spaventato da sé stesso in quel momento.
    Non c’è posto per me in questo universo. Non ce n’è…” Strinse gli occhi, provando a fermarsi.
    E’ questa la risposta… Volevo morire perchè non penso che ci sia alcun posto per me in questo universo.
     
    Top
    .
  14.  
    .
    Avatar

    Il Guardiano della Luce.


    Group
    Keyblader
    Posts
    6,344

    Status
    Anonymous
    Come una valanga che dopo una trazione di troppo, una zolla sbagliata, uno scossone eccessivo, rovinava a valle, così la fragile maschera di sicurezza e ingenuità che Yami aveva cercato di mostrare si sgretolava mostrando un essere fragile e sfinito la cui consistenza sembrava quella di uno specchio. La sua, al confronto, aveva retto un po' di più; ma era bastato che Revan lo scuotesse leggermente perché la potenza e il peso delle parole della sua maestra riscuotessero Ryan dalla bara di ghiaccio in cui si era rinchiuso pur di smettere di piangere.
    Quel giorno, quando era rimasto da solo e non c'era più nemmeno lei a guidarlo, aveva vagato senza meta per i tornanti che aveva imparato a conoscere. Conoscere una montagna non significava solo sapere quali fossero i sentieri giusti, ovviamente; si aveva anche una perfetta idea di quali fossero quelli da non prendere per non rompersi l'osso del collo o morire congelati. E lui, senza la minima esitazione, aveva imboccato proprio uno fra i più pericolosi.
    E lì aveva incontrato il vecchio Svartand, allora tutt'altro che vecchio. L'immenso orso si era avvicinato a lui, lo aveva visto riverso a terra e aveva tutto l'intento di divorarlo; fu la prima volta in cui sentì distintamente un'inarrestabile, gigantesca e insopprimibile volontà di vivere.
    Yami non aveva, forse, sperimentato una cosa del genere. Era caduto, si era addormentato. Sarebbe morto senza aiuto, però...

    Si avvicinò a lui. A quello che stava diventando ormai un gracile fagottino tremante, pieno di dubbi, di rabbia verso se stesso, di desiderio di lasciar andare tutto. "Il tuo corpo non la pensa così." Disse con serietà. Si chinò accanto a lui. "Sei sopravvissuto. Il tempo che ti trovassi. Ma sei sopravvissuto. Il tuo cuore ha continuato a battere perché non volevi morire. Quello che volevi uccidere..." Esitò. Era così difficile trovare le parole. Era così difficile parlare con qualcuno che gli somigliava. "E' quello che pensi non abbia posto. Lo odi così tanto che vuoi vederlo morto. Ma lui non può morire, solo cambiare."
    Se Yami avesse sollevato lo sguardo si sarebbe trovato davanti il viso serio dell'altro, che lo guardava con un'espressione paziente e comprensiva pur sotto le sue sopracciglia rigide e severe. Un vago abbozzo di sorriso si sarebbe trovato ad incurvargli appena gli angoli della bocca, un'espressione che poteva sfuggire a un occhio non attento.
    "Tu hai un posto, Yami. Nel cuore di chi ti ama. Nella memoria di chi hai incontrato. Nessuno è completamente solo. Neanche io." Voleva essere una battuta, ma il suo tono aveva variazioni così impercettibili che era difficile da capire. "Che importa se un ragazzino è più forte di te? Ci sarà sempre un orso più forte. Un lupo più giovane." Se pensava al divario di forza tra lui e Kouichi, poteva solo disperarsi per la propria impotenza. Eppure, Kouichi era importante per lui in ogni caso e non avrebbe mai permesso che l'invidia o la paura di venir sconfitto scavassero un solco tra loro. "Tu non volevi morire. Volevi scappare da te stesso, ma ti sei raggiunto. Ti sei impegnato a cercare il tuo posto, ma forse era proprio questo." A volte la soluzione più ovvia era talmente a portata di mano da non poterla vedere, non importava quanto si fosse intelligenti o potenti. Lui non sapeva tanto di quei mondi e di come funzionavano, aveva solo letto dei libri per passare il tempo. Era tanto poco abituato a parlare con altra gente che faticava persino a trovare le parole giuste; eppure, quello che adesso voleva dire gli veniva facile. Non era ciò a cui lui era giunto tempo prima, nel suo scontro con Svartand. Ma sentiva dentro di sé che fosse un buon punto di partenza. "Forse il tuo posto è quello di evolverti. Di cambiare sempre. Sfidare quello che sai e imparare cose nuove. Non sarebbe bello?"
     
    Top
    .
13 replies since 23/6/2022, 10:41   192 views
  Share  
.