Siamo ancora qui

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    Basil Ōnosenshi




    Fissavo ancora lo schermo del cellulare con mani tremanti.
    Grazie ad Evan, parte di quelle insicurezze e pensieri intrusivi si erano acquietati… Tuttavia non per questo ero meno agitato di incontrarla. Era stata una scena quasi comica: avevo finalmente superato le mie ansie e mi ero deciso ad affrontarla, a scriverle io per primo… per poi ricevere a mia volta un messaggio da parte sua, in simultanea… con le stesse identiche parole!

    "Quando possiamo vederci?"

    Quante probabilità ci potevano essere…?
    E poi però era arrivato un altro messaggio da parte sua.

    "Ho aspettato che recuperassi la memoria."

    Io avevo mandato un muro di testo, ovviamente.
    Un muro di testo in cui le dicevo quanto mi fosse mancata, quanto fosse difficile aver dovuto continuare ad andare avanti dopo la sua morte, tutte cose che lei già sapeva perché noi ci eravamo già ritrovati a Midgar, in quella dimensione onirica. Mi ero scusato per aver recuperato la memoria così tardi, gli chiesi pure perché avesse aspettato così tanto allora, cioè avevo delle ipotesi, ma non era stato un po' crudele da parte sua? Oppure era davvero per salvaguardare la mia salute mentale?
    La sua risposta, come al solito perfettamente concisa: "Quando hai un momento? Ti devo parlare."
    Non sopportavo quando faceva così, ma del resto la capivo. Questo era troppo importante per poterne parlare al telefono, né in una chiamata, né tanto meno per messaggi.
    Gli chiesi come avesse fatto però a sapere come avesse fatto a sapere che avevo recuperato la memoria, e di nuovo: "Ho i miei mezzi : )"… Non ce la facevo, dannata adorabile stronzetta. Che fosse stata Evan a metterla al corrente? Non capivo, ero confuso.

    Non aveva più importanza ora.
    Ero di nuovo a Traverse Town… Zeus solo sa da quanto tempo non ero più tornato in questo posto.
    Le chiavi strette nella mano, la porta dell'appartamento nel quale avevamo convissuto.
    Non riuscivo ad entrare.
    Decisi di sedermi davanti alla porta. In effetti, tecnicamente era l'appartamento della loro famiglia, era meglio se fosse stata Safira la prima a rimetterci piede dopo che entrambi l'avevamo indirettamente abbandonato dopo la sua morte. Rimasi quindi seduto per terra, usando il tappetino d'ingresso come cuscino improvvisato per il mio sedere, mentre distrattamente giocherellavo con le chiavi nella mia mano.
    Ero nervoso, ed era dir poco. Il nostro incontro sarebbe stato come ai Confini della Creazione? Oppure qualcosa era cambiato da allora? Dopotutto non ci eravamo visti per tanto tempo, a malapena sapevo qualcosa sul suo conto dopo che era tornata in vita, per un attimo avevo paura che fossimo diventati troppo diversi, che non riuscissimo più a riconoscerci, che la morte ci avesse allontanato una volta per tutte…

    E' giunto il momento di scoprire il futuro di questa coppia storica lol
     
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    SAFIRA LEMAIRE




    Nell'attimo in cui avevo ricevuto la notifica da Evan, avevo aperto in fretta e furia la chat con Basil, scrivendo in velocità la frase, senza inizialmente nemmeno accorgermi che anche lui stava scrivendo. Nell'attimo in cui cliccai sulla freccetta sulla destra, un muro di testo da parte sua fece la sua apparizione, con la mia singola e semplice frase subito sotto. Trattenni a stento una risata, l'aria di Shibuya che mi scompigliava i capelli, proseguendo poi coi messaggi. Non mi soffermai a leggere, continuando quanto scritto prima, per poi fare un lungo respiro.
    Non avevo un effettivo cuore che batteva, eppure avevo tutti gli altri sintomi tipici dell'agitazione. Le mani erano tremanti, non smettevo di camminare avanti e indietro lungo il muretto, il respiro era affannoso, seppur il mio corpo non avesse bisogno di un vero e proprio "respiro".
    Lessi il suo messaggio, lo rilessi più e più volte, l'agitazione che nel mentre non s'azzardava a diminuire manco per sbaglio. Diamine, ti sei preparata questo discorso per giorni interi, hai anche fatto le prove davanti lo specchio! Ma, come per ogni cosa, un conto era la teoria, un conto era mettere il tutto sulla pratica...
    No, non sarei riuscita nemmeno volendo a dargli una valida risposta, dovevo guardarlo negli occhi per parlarne. Mi sentii terribilmente colpa nel non essere in grado, al momento, di ricambiare il suo entusiasmo, la sua stessa sensazione di mancanza. Forse perché repressa in queste due settimane, forse perché tenuta da parte essendo concentrata su tutt'altro-
    Chiusi gli occhi, facendo l'ennesimo, lungo respiro.
    Dovevo parlargli di persona, adesso.

    Il mio passo per le strade di Traverse Town era molto più veloce del solito, sfrecciando tra le altre persone attualmente lì presenti, sbattendo contro la spalla di qualcuno di tanto in tanto. I miei vestiti erano leggermente più sobri del solito, optando per un top verde militare sopra dei pantaloncini di jeans, per quanto le calze rotte non potevano mancare. E con le ali sulla schiena belle in vista, raggiunsi dopo poco la via dove si trovava il nostro vecchio appartamento. Mi bloccai sotto il lampione, restia dal procedere, lo sguardo che vagava lungo la strada.
    Per così tanti anni l'avevo percorsa, ormai il quartiere lo conoscevo come le mie tasche. E con Yuki al mio fianco, sembrava che niente e nessuno avrebbe mai potuto fermarci. Erano passati anni da quei giorni. Un passato relativamente recente, eppure che ormai mi sembrava incredibilmente lontano, remoto.
    Non so come ma i miei piedi riuscirono a riprendere la camminata, fermandomi poco prima dell'ingresso, trovandolo proprio lì, seduto sul gradino sopra lo stuoino, forse nella mera speranza che gli facesse da cuscino. Erano tuttavia tappetini fatti di un materiale estremamente duro e, di conseguenza, estremamente scomodo.
    Emisi un sospiro, sedendomi poco dopo accanto a lui, non ancora pronta a entrare in casa. Non dissi niente in particolare, aprendo e richiudendo la bocca subito dopo, indecisa sulle parole da scegliere.
    Ancora un po' di quiete prima della tempesta...
    Mi sarei appoggiata contro la sua spalla, inspirando e riempiendo le narici del suo profumo, chiudendo momentaneamente gli occhi. Era incredibile come, nonostante tutto, nonostante quanto accaduto, il suo odore riuscisse a riportarmi ancora alle sensazioni di "casa". Basil era, prima di ogni altra cosa, un amico, un carissimo amico, una persona con cui mi ero aperta, a cui avevo mostrato una parte fragile e vulnerabile di me...
    Eppure, nonostante tutto, Hikari non smetteva di ronzarmi nella testa.
    Forse, a breve, anch'io avrei iniziato a sentire Voce.
    "... Ho aspettato ti ritornasse la memoria perché non volevo complicare ulteriormente la nostra situazione. La mia è tornata non molto tempo dopo e... Ho chiesto anche in giro di avvisarmi quando saresti stato mentalmente pronto." Sottinteso che no, non era assolutamente mia intenzione ignorarlo, semplicemente non volevo vivesse per due volte di fila la consapevolezza che sì, ero viva, e no, non lo avevo dimenticato. "Ti avrei incontrato anche prima, e stavo per farlo... Ma poi ho visto lo stesso sguardo che avevi a Midgar prima di rivedermi, e allora ho preferito evitare." Nemmeno io ero ancora mentalmente pronta per dover rifare tutto il discorso che gli avevo fatto prima dei Confini della Creazione. E sì, forse avrei potuto forzare il recupero della sua memoria, ma se gli avessi mandato in un qualche modo in tilt il cervello?
    "Ma non era l'unica ragione, lo ammetto." Gli avrei preso la mano, giocando coi calli sul suo palmo, notando le chiavi di casa nostra nell'altra. "Sono successe così tante cose, avevo bisogno del tempo per me... E pensare." La scelta di diventare Reaper, Shibuya, Hikari, i gemelli, Creed, Yuki... Persino con Hikari avevo detto che avevo bisogno di un po' di tempo, un po' di tempo per metabolizzare il tutto. E per quanto la tenessi comunque aggiornata su quello che stavo facendo, per rispetto di Basil, mi ero sforzata di interagire con lei il meno possibile, non senza avergli parlato prima.
     
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    La mia mente sembrava sovraffollata da mille pensieri che si rincorrevano l'un l'altro. Diverse voci urlavano nella mia testa, ognuna era una richiesta disperata di attenzione. Dubbi e paure si insinuavano nel mio cuore, mentre sullo sfondo come su una tela bianca al cinema venivano proiettati i ricordi del nostro incontro, ai Limiti della Creazione… Ricordavo i forti sentimenti che avevo provato, le lacrime, quell'ultimo disperato tentativo di cedere ancora una volta alla speranza ed aggrapparmi a lei con tutte le mie forze…
    Stavolta era diverso. Desideravo incontrarla, rivederla in una dimensione che questa volta non fosse onirica, ma reale. Nonostante ciò, qualcosa era cambiato, lo sentivo. Io e lei ne avevamo passate tante insieme da quando ci eravamo incontrati per la prima volta all'inizio del mio viaggio: lei, una ragazza sexy ed edgy, ed io… un coglione con un vocabolario di Latino e Greco. I ricordi del nostro ballo al castello, i primi teneri e timidi tentativi di flirtare l'uno con l'altra… C'era una certa nostalgia ed innocenza al tempo. E poi eravamo stati entrambi catapultati in una guerra, trascinati entrambi dagli eventi fino a che a un certo punto eravamo riusciti a prenderci una pausa per noi, per uscire per il nostro primo appuntamento ufficiale… Un appuntamento che era stato un po' un disastro: passare la maggior parte del tempo a litigare e dover uccidere suo padre Heartless non era proprio la mia idea di appuntamento romantico.

    … ma tra noi le cose non erano mai state semplici, no?

    Eppure da lì, il resto era stata storia.
    Nonostante gli scontri, nonostante le differenze, c'era una sorta di chimica tra noi. E persino da quell'appuntamento all'apparenza disastroso, un forte legame si era instaurato tra noi. Lentamente avevamo deciso di provare a fare il passo successivo e provare a convivere, qualcosa che normalmente sarebbe stato impensabile, troppo affrettato! Ma del resto, eravamo in guerra. Non sapevamo nemmeno se saremmo sopravvissuti un altro mese, perché porsi gli stessi limiti che solitamente valevano in condizioni di pace?
    Ed insieme avevamo vissuto, insieme eravamo cresciuti, insieme avevamo condiviso. Il nostro non era un legame che poteva essere cancellato così facilmente… nemmeno dalla morte. Quanto era passato…? Circa un mese dalla sua scomparsa, un mese e mezzo senza di lei, se contavo anche il fatto che ci fossero volute ben due settimane per il mio stupido cervello anche solo per ricordare che la propria ragazza era ancora viva!
    Un mese e mezzo non era poi così tanto tempo… eppure, in un contesto simile come la guerra in cui ci trovavamo, persino questo tempo sembrava un'eternità. Lo avevo capito quando ci eravamo ritrovati in quella dimensione onirica, ai Limiti della Creazione. Nel tempo in cui non ci eravamo più visti… Safira era cambiata. Ed era solo normale, dopotutto lei era morta. Yuki era morta! E lei era riuscita in qualche modo a tornare, a perdere la propria umanità e diventare una Reaper, sacrificando ogni cosa pur di avere anche solo la minuscola opportunità di ritrovare sua sorella… E del resto, pure io ero cambiato, o stavo cambiando, per quanto cercassi di non darlo a vedere, nascondendomi dietro alla maschera da eroe, buffone, protettore… Safira non era l'unica ad essere morta, ad aver vissuto traumi indicibili, ad aver perso le persone che amava… Questa guerra purtroppo non era stata clemente con nessuno dei due. E proprio per questo, potevo anche solo provare ad immaginare cosa stesse passando.
    Ero consapevole di quanto i rapporti umani fossero mutevoli: si poteva crescere insieme, avvicinarsi ed intrecciarsi, così come allontanarsi e prendere due vie distinte, lontani l'uno dall'altra. Sapevo che non potevo dare nemmeno la nostra di relazione per scontata, perché se un giorno le cose tra noi non avessero più funzionato, ci saremmo semplicemente separati. Il finale "per sempre felici e contenti" era qualcosa che esisteva solo nelle fiabe, ne ero consapevole. Il mio unico desiderio era che, se questo fosse mai successo, noi fossimo riusciti comunque a rimanere in buoni rapporti… perché a prescindere da cosa ci fosse tra noi, Safira per me era una connessione importante, una persona che non volevo perdere nella mia vita, non di nuovo…
    Per questo, e forse per via della mia solita ansia, dei dubbi e delle paure… in questo momento ero sì agitato, ma comunque relativamente pronto a qualunque cosa dovesse succedere. Sì, forse ero troppo catastrofico, ma in guerra era difficile ogni tanto rimanere il solito Basil sorridente ed ottimista. Non era umano. Ed io stavo cercando di liberarmi poco a poco da quelle catene…

    Il rumore dei suoi passi mi riscosse dai miei pensieri.

    Alzai lo sguardo, incrociando il suo. I suoi fari verdi, era strano ripensare di nuovo a quel termine mentre la guardavo negli occhi.
    Ebbi un tuffo al cuore, il respiro mi si bloccò per un istante… Eppure nessuna parola fu pronunciata, non subito.
    Si sedette anche lei accanto a me, appoggiandosi alla mia spalla.
    Fu lei ad interrompere il silenzio per prima. Rimasi ad ascoltarla, mentre mi prendeva il palmo della mia mano destra ed iniziava a giocare con i calli, segni anch'essi dei miei allenamenti, dell'arma che brandivo ogni giorno e del peso delle responsabilità che con essa venivano. Sorrisi tra me e me, con fare malinconico. Ricordavo la mia reazione nel sogno, ricordavo quanto spaventato ed affranto io fossi per la paura che lei non fosse reale ma solo l'ennesimo frutto del mio cervello che ne sentiva la mancanza. Era stato straziante. Potevo capire perché volesse risparmiarmi un'esperienza simile, così come potevo capire che avesse avuto bisogno di prendersi del tempo per sé per elaborare il tutto. Per fortuna Revan era stato in grado di ricostruire il mio Voice Glove, per cui riuscivo di nuovo a comunicare con le persone, specialmente quelle che purtroppo non conoscevano il linguaggio dei segni.
    Era una sensazione strana, per quanto fossi ancora nervoso ed agitato, allo stesso tempo mi sentivo profondamente calmo. Eravamo solo io e lei, due anime afflitte in cerca di conforto l'uno nell'altra. Tutto qui, ogni altra accezione del nostro rapporto scivolava via, superflua
    Negai con il capo, sorridendole.
    - Non ti preoccupare.- digitai con la sinistra, semplicemente.
    Sospirai, cercando di lasciar fluire fuori tutta la tensione accumulata fino a quel momento.
    - Ti va di parlarne?- le avrei chiesto, e per quanto la voce del guanto risultasse ancora abbastanza artificiale, forse Safira avrebbe comunque potuto intuire una certa dolcezza, anche solo nel mio linguaggio del corpo, a cui ormai lei doveva essere abituata. Reggevo ancora il suo peso sulla mia spalla, in questo momento sapevo che lei aveva bisogno di me, ed io ci sarei stato. Per ascoltarla, se se la fosse sentita, oppure per farle compagnia in silenzio qualora avesse preferito evitare.
     
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    Era... Strano, non vi erano molti altri termini per descrivere al meglio quello che stavo provando. Emozioni contrastanti, poiché da una parte mi veniva naturale stargli vicino, ma dall'altra non potevo fare a meno di percepire una certa differenza rispetto a prima. Così vicino eppure così tremendamente lontano. Innegabile ormai constatare che qualcosa era cambiato fra noi, qualcosa nel profondo, soprattutto da parte mia.
    Gli presi la mano più per automatismo che altro, giochicchiando coi suoi calli come di consueto. Era un tocco familiare e rilassante, lo avevo fatto spesso per addormentarmi, diventando una sorta di antistress. A differenza sua, il mio sonno era tremendamente leggero, spesso disturbato da ricordi lontani. Era un miracolo se riuscivo a dormire per più di 5 ore al giorno.
    Buffo come invece d'ora in poi, questo problema non sarebbe più riapparso.
    Non potevo dormire e spegnere il cervello nemmeno volendo.
    Sollevai la testa, stirando la schiena e alzandomi controvoglia, osservando il portone d'ingresso. Cielo, che orribile gioco del destino avere i peggiori ricordi e contemporaneamente i ricordi più belli della mia vita dentro queste mura.
    "Entriamo prima in... Casa." Le mie mani si mossero in contemporanea alle labbra, usando il linguaggio dei segni per comunicare "casa", come a voler enfatizzare il termine. Nei mesi di convivenza, seppur pochi, mi ero impegnata nell'imparare il linguaggio dei segni e facilitare la nostra comunicazione. Per quanto il guanto fosse pratico soprattutto con chi non conosceva il linguaggio, doveva essere scomodo e stancante indossarlo in ogni singola occasione per Basil. Ancora non conoscevo tutti i segni, ma se non altro anche solo i concetti più semplici riuscivo a capirli.
    Tirando fuori le chiavi di casa, dopo un lungo e infinito respiro, girai la chiave del portone.

    L'odore di chiuso pervase le mie narici, per quanto non fosse neanche lontanamente comparabile alla prima volta. Vi era un piccolo strato di polvere che permeava sopra i mobili, ma nulla che una veloce rispolverata potesse risolvere. Non era da molto tempo, infondo, che quella casa era rimasta chiusa.
    Appesi le chiavi nell'apposito appendino all'ingresso, togliendomi gli stivaletti e tirando fuori sia le mie ciabatte che quelle di Basil. Subito, avrebbe potuto notare come improvvisamente le nostre altezze non erano più uguali, abbassandomi di 5 centimetri. Le mie gambe si mossero per automatismo, affacciandomi subito dopo nel vecchio studio di mamma, tirando un sospiro di sollievo.
    Quasi mi aspettavo fosse tornato quell'orribile lenzuolo bianco sopra di esso.
    Dando una fugace occhiata a Basil prima, entrai nello studio, girando attorno al pianoforte e aprendo la coda. Mi sedetti subito dopo sulla panchetta, le mani che in automatico scivolarono sui tasti, in posizione. Tentai con qualche accordo, sempre più complicato, più soddisfatta di quanto mi aspettassi nel sentirlo perfettamente accordato. Presto, gli accordi si trasformarono in una lieve melodia, leggera e vagamente malinconica, semplice. Basil l'avrebbe potuta riconsocere presto, trattandosi del tipico brano che suonavo sempre per primo, prima di lasciarmi trascinare dall'ispirazione e farmi guidare dall'orecchio. Ancora legnosa su alcuni punti, prima di perdere la vita tuttavia avevo lentamente ripreso a suonare. Non ero di certo un portento come mia madre, seppur a differenza sua, le mie suonate erano molto meno accademiche, più istintive e a tratti passionali.
    Mia madre suonava con il cervello, io con il cuore.
    Mi portava spesso a commettere errori e tirare fuori accordi al limite dell'assurdo e stonati, ma almeno ci provavo.
    "So che Ged mi ha riportata a Radiant Garden." Dissi d'un tratto, senza interrompere la melodia. Aiutava a concentrarmi, e a parlare meno rigidamente. "E non hai reagito... Benissimo." Sbuffai. Prevedibile, anche piuttosto banale tirarlo fuori, ma mi aiutava a mantenere un filo conduttore, a farlo reagire in un qualche modo affinché non rimanesse lì in silenzio per tutto il tempo.
    "Sono finita al Reaper's Game, ho superato la settimana, tuttavia il mio ritorno è stato bloccato per due mesi. L'attacco di Fastus a Shibuya ha creato non pochi problemi anche nell'Altro Mondo." Per una frazione di secondo, controluce, Basil avrebbe potuto notare le tipiche ale da Reaper, accompagnate da un motivetto sul pianoforte più agitato e veloce di prima. "E' stato lì che ho saputo di Yuki, Joshua mi ha riferito tutto." Le dita si fermarono sui tasti, l'accordo che riempì la stanza in un suono perpetuo e via via sempre più fievole, lontano.
    "... E ho quindi accettato l'incarico di Reaper, consapevole delle conseguenze e delle sue rispettive responsabilità. Ma mi andava bene, affinché mi concedesse tutto il tempo necessario per ritrovarla." Una vita di sacrifici, raramente ormai mi concedevo sfizi prettamente egoisti. "Suonerà folle, ma tra noi c'è sempre stato un legame inspiegabile, qualcosa che solo altri gemelli possono comprendere, e... Quando ho saputo della sua mancanza, dentro di me sentivo che qualcosa non andava, che c'era dell'altro, che era tutto sbagliato... Ai Confini della Creazione, infatti, ne ho avuto la conferma da Yuki in persona." Ripresi a suonare, le dita tremavano alle mie stesse parole.
    Ma dovevo continuare, dovevo esporre a parole tutto quello che avevo passato, ne avevo un disperato bisogno. Avevo bisogno di liberarmi da questo macigno che da troppo tempo opprimeva il mio petto.
    "Ma non era tutto, ovviamente non poteva essere tutto." Mi venne quasi da ridere al pensiero. "Vedi Basil, quando la vita decide di piegarti a novanta, non si ferma lì e basta... Yuki era incinta, di due gemelli - incredibile, nevvero? Ma so che chi nasce in una famiglia di gemelli, tende ad essere predisposto ad averne altri - e Creed li teneva in ostaggio." Nonostante suonare mi aiutasse a liberare la mente, il ricordo di quello scontro fu inevitabile, e le mie emozioni si riversarono su tutto il mio corpo, non più solo le dita. Sbattei i pugni sul pianoforte, la mia rabbia ormai irrefrenabile, come un fiume in piena. "Quel lurido figlio di puttana non solo si è divertito con mia sorella, ma ha anche avuto la brillante idea di sperimentare sui suoi figli- i miei cazzo di nipoti." Mi fermai un attimo dal suonare, ingoiando a vuoto e facendo un lungo, lento respiro, chiudendo gli occhi.
    Come mi aveva insegnato Hikari.
    "E Shibuya, di nuovo, era in pericolo. In quanto Reaper, non potevo ignorare la richiesta di aiuto. Subito dopo, Gilbert mi ha riferito la locazione dei bambini, e di nuovo, non potevo ignorare la richiesta di aiuto." Tirai un lunghissimo sospiro, scrollando le spalle e voltandomi verso di lui. Non lo guardai tuttavia in faccia. "Avevo la necessità di stare da sola, di metabolizzare quanto appena accaduto, non avevo... Non avevo la capacità mentale né fisica di sopportare tutto questo insieme allo stesso momento. Troppo... Era troppo..." Avrei allungato la mano in cerca della sua, l'assoluto bisogno di avere un appiglio umano, che non fosse l'ennesimo, gelido, mobile.
     
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    Ero pronto ad ascoltarla, a starle vicino… Sì, forse parlare di qualcosa di così delicato seduti sul tappetino d'ingresso dell'appartamento, nel giro scale in modo che tutto il resto del condominio potesse sentirci, in effetti forse non era proprio l'ideale di privacy.
    Safira mi fece segno di entrare in casa, ripetendo quest'ultima parola nella lingua dei segni. Era una cosa che aveva iniziato ad imparare negli scorsi mesi, non era ancora in grado di avere intere conversazioni in questo modo, ma aveva memorizzato i segni più ricorrenti, così che riuscissi a comunicare con lei anche quando non usavo il guanto… Il Voice Glove era estremamente utile sì, ma tedioso a volte. Quando fece il segno di "casa" qualcosa dentro di me si incrinò… e si sciolse al tempo stesso.
    Annuì e mi alzai lentamente, ancora un po' restio ad affrontare quel posto. E realizzare che per lei dovesse essere persino più difficile, perché oltre ai ricordi legati a noi, c'erano anche tutti quelli della sua infanzia, nel bene e nel male: sua madre, sua sorella, suo padre

    La lenta realizzazione che lei era l'unica sopravvissuta della propria famiglia.

    Ingoiai il groppo in gola che mi si era formato, e cercai di farmi coraggio. Seguii anch'io Safira dentro l'appartamento. Il tipico odore di chiuso, qualche ragnatela e polvere in giro come c'era da aspettarsi, nulla che non si potesse sistemare velocemente. Ero particolarmente sensibile agli odori così pungenti, quindi ne approfittai per andare ad aprire qualche finestra in modo da fare arieggiare un po' il locale. Tornai indietro per trovarla poi nello studio di sua madre, dove il piano ancora risiedeva con orgoglio, come un vecchio monolite che non poteva essere abbattuto.
    Mi avvicinai a lei, chiudendo gli occhi e lasciandomi trasportare dalla sua melodia, la solita con cui le piaceva iniziare prima di iniziare ad improvvisare a sentimento. Oh, non mi sarei mai stancato di quella melodia… Era quasi ironico che proprio lei tra tutte fosse diventata una Reaper di Shibuya, un mondo che era legato doppio filo ad una Melodia, qualcosa di quindi vicino alla connessione che lei stessa aveva con la musica.
    Ed infine Safira si interruppe, lasciando l'eco dell'ultima nota a riempire il silenzio della stanza.
    Annuii con una mezza risata nervosa al ricordo di come avevo reagito nei confronti di Ged, con il quale mi ero successivamente scusato. Continuai ad ascoltarla, mentre riprendeva a suonare. Conoscevo già gran parte della storia del resto, ma non avevo alcuna intenzione di interromperla: sapevo che questo fosse il suo modo di sfogarsi, così come di far ordine nei propri pensieri. Sapevo, o per lo meno avevo intuito, la ragione per la quale aveva accettato di diventare una Reaper. Sapevo di Yuki, di come fosse stata trovata a Radiant Garden… rapita, torturata ed uccisa da un certo Creed, uno dei Tredici di Fastus, una sorta di sociopatico che sembrava aver preso di mira Gilbert da tempo immemore. Non sapevo quali fossero i trascorsi tra i due. Sapevo anche che ci fosse ancora un modo per salvare Yuki anche se sconosciuto, perché ero presente ai Confini della Creazione quando ne avevano parlato. Non sapevo però dei gemelli
    Inghiottii a vuoto ancora una volta, mentre una sensazione di incontrollabile angoscia si faceva largo nelle mie viscere. Un sentimento che lasciò ben presto spazio ad una rabbia che rischiava di bruciarmi la gola, la stessa che Safira dimostrò abbassando i pugni con furia sulla tastiera del pianoforte. Di nuovo il suono riempì la stanza, stavolta più violento e disarmonico.
    Shibuya era stata di nuovo in pericolo? Rimasi sorpreso dall'affermazione. In fondo ero stato a Shibuya per la maggior parte del tempo, avrei dovuto notare se qualcosa fosse stato fuori posto… Questo mi portava a pensare che qualunque cosa fosse accaduta, avesse avuto a che fare con l'Underground, qualcosa che quindi non concerneva i mortali come me. Trattenni il respiro nel sentire che Safira aveva partecipato ad una missione per recuperare i propri nipoti, e se era ancora qui sana e salva ed in grado di parlarne, potevo solo intuire che anche questa fosse andata a buon fine. La rabbia si affievolì, ma così non fece la profonda angoscia che quel criminale malato mi causava al sol pensiero… Se non altro, sapere che erano riusciti a salvarli dalle sue grinfie mi faceva tirare un sospiro di sollievo.
    Le presi la mano, cercando di darle conforto. Non c'erano parole che potessero riempire quella sofferenza, ma decisi comunque di aprirmi lo stesso: esserle in qualche modo vicino era tutto ciò che potevo fare in quel momento.
    - Non ti preoccupare, ti capisco benissimo… Non fartene una colpa.- digitai, cercando di negare con il capo quasi a voler scacciare quei pensieri, sorridendole invece con affetto mentre con la mano libera stringevo la sua quasi a volerle dare forza.
    - Io… sapevo di Yuki, Evan mi aveva riferito cosa fosse successo. Ero stato al tuo funerale, ma non ero riuscito a partecipare anche a quello di Yuki… Era troppo.- aggiunsi, con rammarico, una sensazione che anche lei aveva passato. - Mi ero isolato, rinchiuso nel mio dolore… Non sapevo dei risultati della autopsia, non sapevo avesse avuto due gemelli. Che cosa orribile…- riuscii solo a dire, lasciando cadere di nuovo il silenzio tra noi.
    La mano che teneva quella di Safira aveva iniziato a tremarmi.
    -… Ho recuperato i ricordi stamattina, prima di recarmi da Evan. Ho ricordato di averti incontrato, ho ricordato del tuo compito di Reaper, così come della possibilità di riportare indietro Yuki… Improvvisamente ho pensato: "Allora forse c'è ancora un po' di speranza rimasta in questo universo".- risi in maniera soffocata e malinconica, abbassai lo sguardo - Dopo ciò che è successo a Shibuya, dopo Fastus… Non ci credevo poi molto, sai?- le sorrisi, triste. Ero stanco, esausto. Stremato dal peso della guerra. Il ricordo del puro terrore provato quel giorno, il ricordo stesso della mia morte… Non riuscivo ad indossare ancora una volta quella maschera, non quando di fronte a lei, non quando eravamo soli.
    Cercai di guardarla negli occhi. Non era riuscita ad affrontarmi fino a quel momento, non quando aveva così tanto altro di cui occuparsi. La minaccia di Shibuya era stata sventata, i nipoti recuperati, c'era pure la speranza che Yuki potesse ritornare, ed ora…?
    - Ed ora, tu come stai? C'è qualcos'altro che ti turba?- le chiesi, digitando ancora una volta con il Voice Glove, la mia espressione seria ma supportiva. Ero qui per lei, per ascoltarla. Volevo esserci per lei, nel momento del bisogno.
     
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    Quella casa ci aveva visto nascere, ci aveva visto crescere, ridere, piangere... Era stata maltrattata per anni da nostro padre, ignorata, dimenticata.
    Ma ora, ora era piena di vita.
    Mia e di Basil. I nostri vestiti, le nostre foto, i nostri ricordi condivisi. Quello studio, rimasto sigillato e silenzioso per degli anni, adesso era diventato il mio posto preferito. Colmo di melodie, potevo sentire sotto la pressione delle mie dita quanto questo piano mi stesse indirettamente ringraziando, tornando a vivere, a respirare. Più uno strumento veniva buttato nel dimenticatoio, e più si rovinava.
    Le mie parole uscirono dalla bocca come un fiume in piena, guidata dalla mia stessa melodia, lasciando che quel turbinio di sentimenti fluisse in me, attorno a me, lasciando che il pianoforte stesso mi guidasse in quel vortice. Era da giorni che non ne vedevo un'uscita, giorni che aspettavo quel momento, che Basil fosse effettivamente pronto ad ascoltarmi, a lasciarmi parlare.
    Per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, aveva lasciato che fossi io a tenere in mano il microfono, che fossi io la protagonista del palcoscenico. Avevo provato ad aprirmi a quel primo appuntamento - a dir poco disastroso, penso di non aver mai vissuto un primo appuntamento così pessimo - ma ero stata bloccata, Basil stesso aveva imposto la sua idea, che per quanto giusta... Non era decisamente il momento né il modo di esprimerla.
    Accarezzai il punto in cui avevo sbattuto i pugni, scusandomi tacitamente per quel moto di rabbia incontrollato, chiudendo gli occhi. La sola idea che quei due bambini erano stati per più tempo del necessario nelle grinfie di quel mostro mi fece rabbrividire. Aveva già fatto sufficienti danni col corpo di Yuki, non c'era bisogno di infierire su due creature che non c'entravano assolutamente niente con tutta quella stupida guerra.
    Accennai un sorriso nel sentire la presa della sua mano, strizzandola un poco, facendo poi spazio anche a lui sulla panchetta e invitandolo a sedersi. Diamine, era decisamente maturato dall'ultima volta, tutto quello che aveva vissuto doveva averlo decisamente intaccato nel profondo, lo aveva cambiato.
    Entrambi eravamo cambiati.
    Alzai lo sguardo quando parlò del funerale, trovando soltanto adesso il coraggio di guardarlo negli occhi, passando da un occhio all'altro, sbuffando subito dopo. Vero, lui con Yuki aveva stretto amicizia, si erano conosciuti al di fuori della nostra relazione... Non oso immaginare cosa doveva aver passato vedendo sia la propria ragazza che una sua cara amica venire a mancare una dopo l'altra. Un buffo scherzo del destino quello di farci sparire entrambe più o meno allo stesso momento.
    "L'ho saputo da Gilbert, dei gemelli. Quei due... Gliene ho dette veramente tante a quell'idiota, non mi risparmierò nemmeno con Yuki." Ammisi, sbuffando e concedendomi un leggero sorriso. "A quanto pare, Creed ha svolto qualche strano esperimento sull'ut... Sui bambini. Non erano nemmeno visibili all'occhio umano, avevano appena due o tre settimane." Ingoiai a vuoto. Non era affatto facile mantenere un'espressione il più neutrale possibile quando si parlava di esperimenti svolti su mia sorella e i suoi figli, ma mi pareva comunque giusto specificare.
    Riappoggiai la fronte contro la sua spalla, tirando un sospiro di sollievo. Sì, vi era ancora speranza in quel mondo di merda, e che fosse proprio Yuki a rappresentare quel piccolo e remoto barlume... Non vi era rappresentazione migliore per descriverla.
    "Tipico di Yuki, non trovi? E' capace di accendere la luce anche nelle notti più buie." Trattenni a stento una lacrima, asciugandomi in fretta e furia la guancia contro la sua spalla e sollevando la testa, incrociando il suo sguardo. Mi venne d'istinto quello di sfiorargli la guancia con la mano, accarezzandogliela delicatamente, sorridendo appena.
    Alle sue parole, tuttavia, quel tocco mi sembrò improvvisamente sbagliato. Ritirando la mano, quindi, inspirai a fondo, il mio sguardo che tornò sul pianoforte, tutto pur di non guardarlo negli occhi.
    "In realtà... Sì, c'è dell'altro." Ed ecco la parte più difficile. Pensarlo e dirlo effettivamente era molto più complicato di quanto mi aspettassi. Non vi era un giusto o un sbagliato, non vi erano modi per comunicarglielo meglio.
    C'erano i fatti e basta, non potevo fare altrimenti.
    Dopotutto, questo era uno dei motivi per cui a stento riuscivo a toccarlo senza sentirmi terribilmente in colpa. Ma non potevo prenderlo in giro, era irrispettoso sia nei suoi confronti, che in quelli di Hikari.
    Era, purtroppo, giusto così.
    "Siamo... Siamo entrambi cambiati, Basil. Io in primis, credo. Sono morta, mi è stata data una seconda occasione e ho combattuto con unghie e denti per riaverla. E quando sono tornata, ho conosciuto questa... Ragazza, questa incredibile ragazza." Tirai su col naso.
    Cielo, odiavo dire a voce quello che provavo.
    "So che ho sbagliato e me ne assumo tutte le colpe. Non è stato affatto giusto nei tuoi confronti, capisco se d'ora in avanti mi odierai per quello che ho fatto, capisco se per un po' non vorrai nemmeno vedermi, o se vorrai abbattere completamente i ponti." Feci un lungo respiro, l'ennesimo in quella giornata, stringendo la maglietta ad altezza petto. Le spalle mi tremavano, tutto il corpo tremava dinnanzi il peso di quelle parole. <b>"... Ma al cuore non si comanda, e in quell'istante, in quel breve ma infinito istante, sembrava tremendamente giusto e... L'ho baciata..." Le mie mani fecero il segno del cuore e del bacio, enfatizzando quanto appena detto. Mi morsi il labbro inferiroe, lasciando che il silenzio cadesse tra noi due. Non riuscivo a guardarlo, non senza un suo consenso, non senza prima capire quale sarebbe stata la sua reazione tramite il linguaggio del corpo. Era sicuramente difficile intavolare un discorso simile, era sicuramente difficile sentirselo dire in faccia, specie dopo tutto quello che aveva passato, che avevamo passato.
    Solo se lui me lo avesse concesso, avrei proseguito col discorso.
    "Tu mi hai insegnato ad aprirmi, a combattere per un futuro migliore, mi hai aiutato a riemergere dal baratro. Lei invece... Con lei sono tranquilla, sono in pace con me stessa, sento un improvviso e confortevole silenzio." Risi appena, i miei occhi che si illuminarono nuovamente. "Certo, non che lei sia conosciuta per essere silenziosa anzi, è caotica, è energica, è... E' semplicemente lei. Ed è perfetta, in tutti i suoi difetti." Come lo Ying e lo Yang, se io ero l'energia nera, lei era quella bianca. Ci completavamo a vicenda, riuscivamo a dare il meglio di noi se insieme, non vi era un solo attimo in cui avrei anche solo immaginato una vita senza di lei... Basil invece, con Basil era diverso. Ci eravamo sì aiutati, ma perché incredibilmente simili, da un certo punto di vista. Entrambi cocciuti, entrambi intensi anche solo nell'esprimere i nostri sentimenti. Solo che, insieme, la nostra energia non diventava equilibrata, bensì diventava anche fin troppa, difficile da gestire persino per noi stessi.
    Ai Confini della Creazione, indirettamente, ne era stata nuovamente la conferma.
     
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    "C'è dell'altro?" Avrei potuto chiamarlo sensto senso, ma forse non sarebbe stata la parola esatta.
    Ed era dura cercare di capire quanto fosse realtà, e quanto fosse invece nient'altro che il frutto delle proprie ansie ed insicurezze… ma del resto, quando si passava così tanto tempo con la persona che si amava, diventava molto semplice intuire quando qualcosa non andava: una determinata scelta di parole piuttosto che un'altra, atteggiamenti diversi dal solito, lo stesso linguaggio del corpo ambiguo, l'omissione di informazioni, una certa distanza fisica e mentale… tutto lasciava intuire che qualcosa era cambiato tra noi. Non era qualcosa che si poteva nascondere.
    Avevo cercato di ignorare quella vocina persistente nel retro della mia testa. "Tutto è cambiato, è finita. Non prova più nulla per te."… Avevo cercato di ricacciare indietro quei pensieri, ma senza neanche farlo apposta una sensazione di quiete e radicale accettazione si era fatta largo dentro di me, come di chi sa di aver perso la battaglia in partenza. Forse per quello ero così calmo, ero in uno stato di profonda disillusione.
    Sarei rimasto comunque, anche se una parte di me voleva scappare, non affrontare il dolore. Sarei rimasto, nonostante tutto. Per lei, per ascoltarla.
    Mi sedetti con un attimo di esitazione sulla panca del pianoforte, accanto a lei. Non perché non volessi… Io desideravo il contatto con lei, ma c'era qualcosa che non andava, qualcosa che stonava, parlando di melodia… Qualcosa che inquinava l'idea di quel contatto che tanto a lungo avevo ricercato. Per quanto potesse avere senso il fatto che avesse aspettato due settimane prima di incontrarmi, anche con tutti gli impegni e le cose che aveva per la testa, anche volendo davvero pensare al mio di benessere… era semplicemente strano, una nota stonata che rovinava il ricordo dell'intera melodia.
    Abbassai lo sguardo, annuendo sovrappensiero riguardo alla situazione dei gemelli, agli esperimenti che quel pazzo di Creed doveva aver condotto sui due… Sorrisi in maniera stupida, mentre il cuore mi si scioglieva alla frase di Safira riguardo a Yuki. Era vero, lei era quel tipo di persona, capace di portare luce e speranza pure nelle notti più buie… forse era un'indole comune tra noi Keyblader, a quanto pareva.
    - Sai, manca tanto anche a me…- ammisi con fare malinconico, mentre mi perdevo tra i ricordi. Il discorso sulla spiaggia, la gara di biglie, gli scherzi mentre era addormentata, i nostri allenamenti nell'arena insieme a Gillian, la nostra resistenza e cocciutaggine nei confronti di Evan, le chiacchierate quando avevo bisogno di consigli per capire come riuscire a parlare a Safira senza causare il finimondo, i tentativi di organizzare un appuntamento a quattro che mai si era avverato… Mi mancava Yuki, mi mancava tantissimo la mia amica.
    Tuttavia non eravamo qui per lei, né per Gilbert ed i loro figli. Ero qui per Safira, ero qui per noi.

    … E la verità non tardo ad uscire fuori.

    Qualcosa morì dentro di me. Per quanto si pensava di essere pronti e preparati mentalmente alla peggiore delle notizie, la vita trovava sempre il modo di sovvertire le proprie aspettative, per quanto basse potessero essere già in partenza. Era sempre orribile quando quella vocina nel retro della propria testa si rivelava vera, se non peggiore.
    La sensazione di non essere stato abbastanza, di non aver mai avuto poi così tanta importanza per lei fin dal principio… Il valore che io avevo dato a lei ed alla nostra relazione nel tempo, evidentemente non era mai stata reciproco. La consapevolezza che mentre io ero impegnato a piangerla e struggermi per la sua mancanza, lei era semplicemente andata oltre ed aveva conosciuto un'altra persona. Che stupido. Ed io che avevo pensato di aver avuto una possibilità con lei, di poter essere felici insieme… Bugia. Tradimento.
    Come potevo fidarmi ancora di una persona del genere…? La tristezza, il dolore, la delusione… lasciarono ben presto posto all'apatia. Quella maschera che avevo cercato disperatamente di togliermi di dosso, sembrava ora tornare a saldarsi indissolubilmente al mio viso. Ormai impossibile da togliere.
    Un simbolo. Un eroe, che era disposto a sacrificare ogni cosa per gli altri… pure sé stesso e la propria felicità. Questo era il peso che avevo deciso di caricarmi sulle spalle, nel momento in cui avevo accettato il mio ruolo. Safira non era diversa dagli altri a questo punto, solo un'altra delle persone che avevo giurato di proteggere. Nient'altro. Solitaria sapeva essere la vita di un eroe.
    Non le chiesi nemmeno di chi si trattasse, non ero scemo. Specialmente dopo la descrizione che lei stessa aveva fornito, non era difficile intuire di che ragazza stesse parlando. Persino i ricordi che avevo dei Confini della Creazione, venivano poco a poco contaminati: il nostro incontro toccante lasciava ora il posto alle interazioni e gli ammicchi tra le due ragazze, all'intesa che tra le due si era creata. Nemmeno quel ricordo mi apparteneva più, inquinato irrimediabilmente. Che schifo.
    Potevo sbagliarmi certo, poteva trattarsi di un'altra ragazza, forse una Reaper? Tuttavia non riuscivo a non pensarci, forse era di nuovo quello stupido sesto senso, i ricordi delle loro interazioni che si riaffacciavano con prepotenza nella mia memoria, il senso di disgusto e delusione che ne scaturiva. Un'altra Keyblader del Fulmine. Anche lei energetica e caotica, esattamente come me, anche se in maniera diversa. "Safira ha proprio un tipo!", cercai di scherzare tra me e me, nella mia testa. Di nuovo cercai di sdrammatizzare come possibile, di non affrontare il dolore. Non volevo darle quella soddisfazione, non quando quelle stesse parole nella lingua dei segni sembravano ora un'offesa, una presa in giro.

    La mia vita era una barzelletta, dopotutto.

    Che altro mi rimaneva da fare, se non continuare a ridere e interpretare la parte?
    Presi un profondo respiro. Basil Ōnosenshi, il Protettore di Shibuya, il Keyblader, l'eroe, il martire… Non era poi così difficile, no?
    - Va tutto bene, non ti preoccupare.- mentii, e nel farlo cercai di mantenere un'espressione affettuosa e supportiva. Ricacciai indietro quella sensazione orribile che si faceva largo tra le mie viscere, che rischiava di bruciarmi la gola ed inumidirmi gli occhi. Dovevo solo fingere, ancora una volta. Ero diventato bravo a farlo, in questi ultimi mesi dopo la sua scomparsa. Di cosa avevano bisogno le persone? Io glielo avrei dato.
    - Sono contento tu stia meglio, e spero che questa ragazza riesca davvero a farti felice.- le sorrisi, incoraggiante. Quante volte avevo ormai già fatto questo discorso, davanti alle vittime di quel giorno? - Voglio solo il meglio per te, lo sai. Specialmente dopo tutto quello che hai passato…- continuai, con tono di voce gentile e caldo, per quanto il Voice Glove lo permettesse per lo meno, grazie ai sensori del battito cardiaco e le apposite modifiche che Revan aveva gentilmente apportato. E del resto, non era una bugia, ma solo una mezza verità. Io desideravo davvero che lei stesse meglio, che trovasse la felicità, allo stesso modo per cui lo desideravo per chiunque altra persona in quel vasto universo che avevo giurato di proteggere.

    Era facile essere un simbolo, quando si eliminava sé stessi dall'equazione.

    Nella mia testa stavo già pensando oltre, pur di non affrontare il dolore. Razionalizzare, pensare al prossimo passo da fare. C'era qualcosa che avrei dovuto liberare dall'appartamento? Avevo già spostato il grosso dei miei averi dopo la sua morte, qui erano rimaste solo le cose condivise: foto, album, peluche, qualche stupido pigiama abbinato, qualunque cosa potesse ricordarmi di lei e che al tempo avevo voluto evitare di guardare, pur di velocizzare il processo di elaborazione del lutto. Effettivamente non c'era rimasto nulla che valesse la pena riprendersi, e che Safira non potesse buttare lei stessa per far spazio alla nuova arrivata.
    Mi alzai istintivamente dalla panca, allontanandomi dal contatto. Cercai comunque di mantenere un'espressione quanto più rilassata e serena possibile. Una volta capito con chi dovevo usare la mia maschera e con chi no, era facile mantenere il personaggio. Dopotutto io ero lì per lei, per i suoi sentimenti… non per i miei. Una persona come me non poteva permettersi di far parte dell'equazione, non era ciò che era importante in questo momento. La priorità ce l'aveva lei, e il come potessi aiutarla. Non era tanto diversa dall'ennesima ragazzina di Shibuya che avevo salvato dalle macerie.
    - Ne hai già parlato anche con lei?- le chiesi, in realtà aspettandomi già la risposta. Conoscendola, probabilmente doveva avere avuto almeno la decenza di metterci entrambi in pausa per poterne parlare prima con me e chiarire la situazione, per limitare i danni… Potevo davvero crederlo, però? Conoscevo davvero la persona che avevo davanti? Non ne ero poi più così sicuro. In ogni caso, non aveva poi così tanta importanza, dopotutto il discorso stava andando chiaramente a parare verso un'ovvia conclusione. Non c'era davvero una scelta qui, questa era a malapena una comunicazione di servizio a voler essere gentili. Per lo meno era stata onesta, per quanto doloroso potesse essere. Questo dovevo almeno riconoscerglielo.
    Mi guardai in giro, sovrappensiero. Era riuscita ad inquinare i ricordi della nostra relazione, così come di questo appartamento stesso. Sinceramente, avrei solo voluto andarmene, ma la responsabilità e l'affetto che comunque ancora provavo per lei mi obbligava a rimanere, a mettere da parte me stesso per essere un migliore supporto per lei. Potevo farcela, potevo interpretare il ruolo ancora un altro po'. Essere la persona di cui la gente aveva bisogno, di cui Safira aveva bisogno. Almeno fino a che non gli sarei servito più e mi avrebbe gettato via come un giocattolo di cui si era stufata per passarne ad uno decisamente più nuovo ed accattivante.
     
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    La tensione presente nella stanza era così fitta da poter essere affettata con un coltello. Il silenzio che calò poco dopo non aiutò affatto ad alleggerire l'aria, la situazione. Anzi, rese il tutto ancora più difficile, più complicato, più... Insopportabile.
    Ingoiai a vuoto, giocando col bordo dei miei pantaloncini, fissando talmente tanto il pianoforte che a breve avrei potuto crearci un buco. I sensi di colpa erano veramente terribili da dover sopportare, per un attimo avrei volentieri preso una macchina del tempo, tirato due sonori schiaffi alla me del passato, e bloccata dal commettere un simile atto.
    ... Ma era effettivamente quello che volevo? E se fosse stato proprio il destino a portarmi da entrambi?
    Corrucciai la fronte, interdetta dal mio stesso pensiero, confusa da quanto avevo appena pensato. Cosa...?
    Qualcosa nello sguardo di Basil mutò irrimediabilmente, mordendomi insistentemente il labbro ed evitando di aggiungere altro. Era giusto gli dessi tutto il tempo necessario per metabolizzare la notizia, non vi era bisogno di aggiungere altro. Avevo sinceramente il terrore che prendesse e se ne andasse, che mi abbandonasse di punto in bianco, che mi aggredisse verbalmente. Ero pronta ai suoi sfoghi emotivi, ero pronta al veleno delle sue parole, ero veramente pronta alla peggiore delle reazioni... Ma niente e nessuno mi avrebbe potuto preparare a quel teatrino.
    Sgranai gli occhi, interdetta, confusa. Chi... Chi era quel ragazzo davanti a me, in questo momento? Un secchio d'acqua gelida mi percorse la schiena, gelandomi sul posto, corrugando la fronte al suo sorriso, aprendo la bocca senza tuttavia emettere alcun suono alle sue parole di conforto.
    Va tutto bene, non ti preoccupare?
    La mia mente saltò a migliaia di conclusioni, iniziando pure a pensare che forse Fastus era arrivato a clonare altri essere umani, che non era più la stessa persona, o forse era uno che lo stava imitando-
    Mi morsi la lingua, osservandolo allibita, incapace di rispondergli così su due piedi, incapace di realizzare la maschera, rifiutandomi di riconoscerla, una facciata che solo in TV poteva vagamente reggere.
    D'istinto, sollevai la mano quando Basil si alzò dalla panchetta, afferrando tuttavia l'aria, stringendola subito dopo a pugno. La paura che questo mio tocco venisse violentemente rifiutato pervase tutto il mio braccio, non volendo assistere a una simile scena. L'idea che non volesse più toccarmi, né essere toccato, mi faceva un male incredibile, un dolore lancinante al petto che persino io mi stupii di provare ancora nei suoi confronti. Eppure... Eppure i miei pensieri vorticavano solo su Hikari, c'era soltanto lei, solo-
    L'immagine di Basil apparve di fianco.
    Mi alzai anch'io di scatto, facendo volare a terra la panchetta, ignorando bellamente il frastuono del mobile che sbatteva contro il pavimento. Il petto si alzava e abbassava vistosamente. Osservai Basil guardarsi attorno con fare assente, era evidente avesse un'incredibile voglia di andarsene da lì, ma non lo faceva per rispetto nei miei confronti.
    Perché è questo che ci aspetta dagli eroi.
    "No... Cioè sì, ovvio che le ho parlato. Queste due settimane però ho preferito rimanere da sola, avevo bisogno di... Pensare... E... Schiarirmi le idee..." Persino io stessa ero insicura delle mie parole, la lenta realizzazione di prima che invadeva i miei pensieri, confondendo il tutto ancora di più.
    Immaginai Basil andarsene, portandosi appresso qualche ricordo condiviso se avesse voluto. Immaginai buttare via tutto il resto, voltare pagina, iniziare un nuovo capitolo, però...
    ... Io non volevo che sparisse totalmente dalla mia vita.
    E non che rimanesse come amico.
    Il mio cuore perse un battito.
    "Basil." Pronunciare il suo nome mi causò un brivido ben familiare lungo la mia schiena, le labbra mi tremarono subito dopo. "Non... Ti prego, non fingere con me, non ce n'è bisogno. Ti ho ferito, ti ho tradito, ti ho mentito... Butta da parte quella maschera da eroe di Shibuya e guardami." La voglia irrefrenabile di abbracciarlo e risentirlo vicino a me mi portò a compiere un primo passo verso di lui, fermandomi tuttavia subito dopo.
    Che... Che cazzo di casino. Ed era tutta solo ed unicamente colpa mia.
    Non meritava ulteriori ferite, non meritava ulteriori menzogne.
    Nemmeno Hikari.
    Un altro lungo, meditato, sospiro, seguito da un altro, e un altro ancora. Come se stessi meditando, chiusi per un attimo gli occhi, la melodia di prima che riaffiorò nei miei ricordi. Per quanto fosse partita stonata, distorta, si stava via via concretizzando, addolcendo, crescendo.
    Forse, per una volta, sarei riuscita a tenere vicino a me le persone a cui più tenevo... Le persone che più amavo.
    "Ti... Ti amo." Ancora con gli occhi chiusi, corrugai comunque la fronte. Mettere a voce quanto stavo provando, quanto stavo sentendo... "Pensavo... Pensavo che chiudendo tra noi due avrei rimosso questo macigno, che mi sarei sentita meglio visto che, in teoria, è giusto così... Ma non per me. No. Non voglio perderti, non voglio lasciarti." Trattenni a stento un'imprecazione, chinandomi verso il basso e portandomi le mani tra i capelli, tirandoli indietro. Mi morsi talmente forte il labbro inferiore che prese a sanguinare.
    "... Ma amo anche lei, è innegabile... Che... Che cazzo significa..." Una prima lacrima scese lungo la guancia, seguita da un'altra, e un'altra ancora. In quel turbinio di sensazioni, di emozioni, un barlume di luce sembrò farsi strada, il macigno iniziava molto lentamente a sgretolarsi. Posando le ginocchia a terra, pur ancora singhiozzando e piangendo, poggiai i palmi a terra, chinando la testa verso il basso, arrivando a sfiorare i dorsi delle mani con la fronte. Sapevo bene che a Shibuya era un enorme segno di rispetto, e anche il miglior modo possibile per chiedere scusa.
    Perché sì, ero profondamente dispiaciuta per avergli causato dolore.
    E lui, tra tutti, non lo meritava. Non lo avrebbe mai meritato, per nessuna ragione al mondo.
    "Mi... Mi dispiace, davvero, dal profondo del mio cuore. E non lo dico verso la maschera che ti stai sforzando di indossare... Lo dico a te, Basil. A te soltanto." Mi strinsi le spalle, rialzando giusto il busto, tirando su di nuovo col naso e cercando come possibile di asciugarmi le guance col dorso della mano destra. Trattenni a stento un sorriso vedendo tale dorso macchiarsi di nero per colpa del trucco.
    Ero così convinta che sarei riuscita a mantenere la calma da aver avuto il coraggio di truccarmi persino per un appuntamento simile.
    "Se... Se c'è qualcosa, anche di terribilmente stupido, per farmi perdonare, qualsiasi cosa, per portarti col tempo a fidarti di nuovo... Ti scongiuro, dimmelo... Ti voglio troppo bene per rinunciare a te, per rinunciare a noi..."
     
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    Non era stata una scelta completamente consapevole… Tutto quello che avevo passato, il mio ruolo da Keyblader, la pressione mediatica in quanto simbolo di Shibuya, quel fatidico giorno in cui ci eravamo sacrificati per trattenere Fastus… Aveva avuto un impatto sulla mia psiche più grande di quanto avessi immaginato inizialmente.
    Mi ero rinchiuso in me stesso, avevo innalzato le mie difese, nascondendomi dietro a quella maschera come ultima linea difensiva. Era un modo per proteggermi da entrambi i fronti: quello interno, poiché non volevo lasciarmi travolgere dal dolore; così come da quello esterno, poiché Safira si era rivelata essere una persona di cui non potevo più fidarmi. Semplicemente non ci riuscivo più, anzi, non volevo più mostrare il vero me ad una persona del genere, una persona che avrebbe potuto usare quella stessa mia vulnerabilità per farmi del male, proprio perché sapeva dove colpire e causare più danni possibili…
    Poco importava se fosse palese che quello fosse tutto un teatrino. Una persona vera, non un simbolo… Una persona vera con sentimenti umani, non avrebbe mai reagito a quel modo. Era innaturale, disumano. Era quello che inconsciamente con il tempo ero dovuto diventare, uno strumento al servizio della gente. Era più facile muoversi così, continuare a combattere, senza il peso della propria umanità a rallentarmi…
    Potevo farcela. Potevo fingere ancora una volta. Potevo-…

    "Butta da parte quella maschera da eroe di Shibuya e guardami."

    Una crepa si formò sul mio volto. Uno spiraglio che lasciava trapelare, anche se per un solo istante, le mie vere emozioni.
    Gli occhi erano lucidi. Il mio sguardo ricambiava quello di Safira con intensità: furore, disgusto, delusione.
    "Lasciami andare. Hai già fatto abbastanza."
    Me ne accorsi in fretta. Distolsi subito lo sguardo, asciugandomi subito gli occhi con il dorso del braccio, cercando di riprendere un'espressione neutrale. Nonostante tutto, non volevo ferirla. So che era una stronzata, che forse quello scontro con Fastus avesse causato danni celebrali irreparabili, ma volevo davvero provarci. Non volevo farla star male, volevo allontanarmi da lei nel modo più indolore possibile. Non volevo si preoccupasse per me, non ce ne era bisogno. Ero abbastanza forte da reggere tutto questo. Volevo che lei potesse avere un nuovo inizio lontano da me, senza ulteriori preoccupazioni, se era questo che lei stessa voleva.
    Non… Non volevo essere parte dell'equazione, non era quello il mio ruolo. Ciò che provavo era superfluo, non era necessario che interferisse con il percorso e la felicità degli altri. Se era per Safira, mi sarei fatto da parte. Potevo gestire questa sofferenza da solo, in privato, senza preoccupare gli altri. Lontano dalle telecamere, lontano dagli occhi indiscreti della gente, lontano dalle persone che mi volevano bene.
    Ero pronto per andarmene, a questo punto non c'era altro che si dovesse aggiungere alla conversazione. Almeno così credevo… Questa mia reazione aveva scatenato una confusione evidente in Safira, forse perché pian piano anche lei stava realizzando che quello che stava accadendo era reale, si stava concretizzando.
    Era la fine tra noi, giusto…?

    "Ti… Ti amo."
    "Non voglio perderti, non voglio lasciarti."

    Rimasi anch'io a fissarla, visibilmente confuso.
    Sembrava che ciò che stava succedendo tra noi la stesse destabilizzando.
    Vederla impanicarsi, prendere a mordersi il labbro inferiore con tanta forza da farlo sanguinare, iniziare a piangere… era a dir poco straziante.
    Non era questo che volevo. Non doveva stare male per me. Mi sarei fatto da parte, non c'era bisogno di martoriarsi fino a tal punto… Che stava succedendo? Pensavo avrei trovato questa scena a dir poco umiliante, pietosa. Una ragazza che dopo aver tradito, cerca di non perdere la sicurezza della relazione primaria, tentando comunque di mantenere il piede in due scarpe? Sembrava davvero una di quelle scene disperate, di quando capisci che bassezze è in grado di raggiungere una persona pur di fare i propri comodi e manipolare chi gli sta attorno… Avrei solo dovuto ignorare, andarmene… Eppure non ce la facevo.
    C'era qualcosa di diverso da ciò che mi sarei aspettato, qualcosa che mi teneva incatenato in quel posto. Non sembrava essere una semplice scenata. Quelle emozioni, quei gesti, quelle parole, quella visibile e struggente confusione… sembrava sincera. Arrivò persino a prostrarsi al suolo, in un inchino tipicamente giapponese che, per quanto eseguito non perfettamente da parte sua, mostrava comunque impegno, sincerità e rispetto nei miei confronti.

    La Safira che conoscevo non sarebbe mai arrivata a tanto, se non fosse qualcosa di importante per lei.

    Alzai il viso e gli occhi al cielo, fissando il soffitto per qualche secondo.
    Presi un profondo respiro, dopodiché sospirai a vuoto. La tensione che leggermente scemava.
    Che casino.
    - Alzati, per favore. Non c'è bisogno.- avrei digitato con il Voice Glove, facendole poi segno di rialzarsi, anche afferrando la mia mano libera se ne avesse avuto bisogno. Quel gesto aveva significato molto per me, più di quanto credesse: aveva creato uno spiraglio per un dialogo, quantomeno. Tuttavia era comunque evidente quanto esausto dalla vita io apparissi in quel momento. Le cose non erano mai facili per me, forse per noi. Quale era la scelta giusta? Lasciarci e separarci ci avrebbe forse condotto alla rispettiva felicità?
    Sospirai ancora una volta, stanco.
    - Perché le cose tra noi devono essere sempre così complicate…?- le chiesi, ma era chiaro questa fosse solo una domanda puramente retorica che non necessitava una reale risposta. Non c'era ironia in quella domanda, non stavo ridendo tra me e me come avrei fatto solitamente pur di sdrammatizzare. Non ne ero in grado. Sentivo non fosse la soluzione migliore. Voleva che mi togliessi la maschera? Avrebbe trovato un Basil diverso, dietro di essa.
    Mi sarei riavvicinato con calma al pianoforte, rialzando la panca che era caduta nel trambusto. Mi sarei di nuovo seduto, facendole segno di sedersi vicino a me. Se si fosse seduta, avrei appoggiato con evidente insicurezza le dita sui tasti del pianoforte. Esitai.
    -… Ti ho mai accennato che al tempo avevo provato a seguire anche un corso extra-scolastico di pianoforte?- digitai, sollevano la mano dai tasti. Avevo rispolverato così quello che alla fine era stato un po' un meme del personaggio che ero, durante l'ultimo anno. In realtà, avevo mollato il corso dopo una settimana, come molti dei corsi che avevo provato ed in cui avevo ben presto capito di non essere bravo. Le mie dita erano più tozze e maldestre di un pianista, era evidente che ero più un pugile che altro. - Dopo la tua morte, ho provato a tempo perso a imparare a suonare… ma faccio ancora davvero pena.- avrei ammesso, serio.
    Avevo una pianola a casa dei miei genitori, comprata impulsivamente al tempo proprio sull'onda dell'entusiasmo per quel corso. Cercavo di non pensare troppo alla sua scomparsa, ma alle volte era impossibile non cadere in quella spirale di pensieri e ricordi: piuttosto di riguardare le foto o rileggere le nostre chat come ero solito fare, avevo cercato di incanalare quella malinconia in qualcosa di più creativo. In maniera molto goffa, provai ad iniziare a suonare. Mi prendevo i miei tempi tra un accordo e l'altro, nel tentativo di ricordare quali fossero i tasti giusti ed in che sequenza premerli, e di certo quella non era una melodia orecchiabile, non per come la stavo suonando io… ma era la stessa con cui Safira iniziava ogni volta che si metteva al pianoforte.
    Una melodia poteva essere suonata in due, così come un ponte si costruiva da entrambe le parti.
    Mi staccai ben presto dai tasti, la mia performance era stata a dir poco imbarazzante.
    Sospirai, di nuovo.
    - Devo essere sincero? Puoi solo immaginare come mi sento in questo momento.- il mio corpo era rigido, duro, severo. Chiusi gli occhi, continuavo a non volerla guardare in volto. - Questa situazione è davvero un casino… Ed io non ho le risposte, non so quale sia la scelta giusta.- ammisi, le spalle che si abbassavano in un moto di sconforto e disillusione.
    Sorrisi, per la prima volta da quando avevo iniziato il discorso. Era tuttavia un sorriso malinconico, affranto.
    - Forse dovremmo solo accettare che non funzioniamo bene insieme… e semplicemente, lasciarci andare. Del resto la nostra relazione ha avuto spesso molte difficoltà, vuoi per inesperienza da parte di entrambi, vuoi per la nostra cocciutaggine…- avevo iniziato a premere con l'indice lo stesso tasto, in maniera ripetuta e costante, quasi fastidiosa. - Quali sono davvero i tuoi sentimenti per me? Sono sinceri, oppure dettati dalla paura di perdermi per sempre?- le chiesi, continuando a premere quel dannato tasto con insistenza, irritazione, ansia. - Prima di chiedermi qualunque cosa, anche solo per rispetto nei miei confronti… Dovresti prima capire te stessa.-
    Inspirai, cercando di calmare quell'irrequietudine.
    Perché doveva essere tutto così difficile…?
    Sospirai.
    - Io… Io ti amo, nonostante tutto. Ed è questo che mi fa più male.- cercai di premere con forza, con la mano libera, parte dell'accordo della prima nota della melodia di Safira. Il suono incompleto riempì il silenzio della stanza. - Io ti posso anche perdonare, ma come posso fidarmi ancora di te…?- provai a voltarmi verso di lei ma non ci riuscii. Abbassai di nuovo lo sguardo sui tasti del pianoforte. Non riuscivo ad affrontarla in quel momento, a reggere il suo sguardo. Avevo bisogno di lucidità per pensare. - Prendiamo l'ipotesi di voler entrambi salvare questo rapporto… Abbiamo bisogno entrambi di essere dei partner migliori d'ora in poi, l'uno per l'altra. Ed io… io ho bisogno di comunicazione, rispetto e trasparenza da parte tua. Ed impegno, ovviamente. Non può funzionare altrimenti.- esitai per un secondo, la stanchezza che quasi prendeva il sopravvento - Ed anche così ci vorrà del tempo per riguadagnarti la mia fiducia, penso tu lo possa capire.- le spiegai, con una severità facilmente percepibile da quel discorso.
    Mi sorpresi anch'io della maturità con cui stavo esponendo il discorso. Ma del resto, come il mago del fuoco stesso aveva notato, la mia percepita stupidità era solo un effetto collaterale della mia maschera, di quel lato del mio carattere giocoso ed impulsivo. Ero tutt'altro che stupido, e si sa… La morte obbligava una persona a maturare più del previsto, a rivalutare la propria stessa vita da una prospettiva diversa. Queste almeno erano le basi di una relazione sana, a livello puramente logico. Non sapevo se il mio cuore fosse riuscito invece ad aprirsi di nuovo, dopo ciò che era successo. Non potevo dare questo fatto per scontato, e speravo che lei questo lo potesse capire anche da sola.
    In ogni caso, ormai questo non riguardava più solo noi due.
    - Inoltre, cosa vuoi fare con questa ragazza?- le avrei poi chiesto, incalzandola ancora. Avevo inconsciamente messo da parte la mia empatia per un approccio più pragmatico. - Davvero è possibile amare due persone contemporaneamente…? Come dovremmo comportarci io e lei in questa situazione?- le domandai ancora, con serietà.
    Storie del genere non erano nuove in Giappone. Era un argomento che non avevo mai toccato, un argomento che avevo vissuto solo indirettamente attraverso i racconti di libri e manga. Quest'ultimi in particolare erano quelli con cui avevo più familiarità, ovviamente. Ce ne era uno che avevo letto al tempo, in cui l'argomento principale era la poligamia: un uomo che aveva ben tre mogli, e con le quali viveva insieme come una famiglia allargata. Un concetto difficile da immaginare nella mentalità giapponese, e che era ben accetto in quel caso solo perché immerso nella cultura del patriarcato, con l'uomo a farne padrone al centro di un harem. Un pensiero che più volte avevo accarezzato, da adolescente con gli ormoni a mille, ma che mai avevo davvero pensato fosse un modello di relazione realistico. Il fatto che fosse la ragazza ad avere due o più relazioni contemporaneamente, sembrava ancora più strano, e mi rendevo conto di quanto basata fosse questa mia percezione. Ed anche così, la situazione era complicata: anche in quel manga emergevano chiaramente le difficoltà di un modello di relazione simile: l'ego e la gelosia. Era facile per chi era al centro delle relazioni, più difficile per chi invece doveva orbitare come un satellite intorno alla persona principale. Era qualcosa di inusuale e di cui bisognava assolutamente parlarne… con tutte le persone coinvolte.
    - Vuoi chiamarla? Puoi farla venire qui, se vuoi…- ritirai il braccio, come scottato da quelle parole - Anzi, non qui, questo è il nostro posto… Non ce la faccio scusa. Però possiamo trovare un altro posto, qui a Traverse Town, dove incontrarci e parlarne tutti insieme. Ho bisogno di sapere anche lei come si sente e cosa ne pensa al riguardo.- esitai un attimo, domandandomi se fosse davvero la scelta giusta, se avessi davvero le energie emotive e mentali per affrontare la conversazione con una terza persona, ora che già ero stremato ed afflitto da tutto questo. Sospirai, ancora una volta.
    - Non è una decisione che possiamo prendere da soli, io e te.-
     
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    Rimasi china contro il pavimento per attimi che sembrarono durare all'infinito, la paura di guardarlo negli occhi e rivedere quel senso di disgusto che provava nei miei confronti. Vi era stata una breccia sulla sua maschera prima, le mie parole erano effettivamente riuscite a toccare il suo cuore, seppur brevemente. Ed era piuttosto evidente quanto fosse furioso, potevo immaginarlo dopotutto. Avevo tradito la sua fiducia, gli avevo omesso la verità e me l'ero tenuta per qualche giorno sia per paura della sua reazione, sia per effettivamente rimettere in ordine i pensieri che frullavano nella mia testa.
    Ma non era abbastanza.
    Per quanto mi fossi preparata il discorso, per quanto fossi pronta a essere insultata, rifiutata, cacciata via... Niente e nessuno poteva effettivamente prepararmi a tutto questo.
    Quel turbinio che mai cessava. Quella passione che mai si spegneva.
    Credevo che col tempo si sarebbe affievolita, che una volta messa la pietra sopra sarebbe svanito ogni singolo sentimento nei suoi confronti. Infondo, in quanti potevano vantarsi di avere una relazione con due persone? Chiunque avrebbe pensato che se ne stava approfittando, che era solamente una presa per il culo verso gli altri due, che non era fisicamente possibile amare equamente due persone.
    Eppure...
    Eppure non potevo fare a meno di mettere sia Hikari che Basil sullo stesso piano.
    Trattenni il respiro quando sentii la voce del suo Voice Glove, alzando lo sguardo, guardandolo in viso. Era esausto, oltre che combattuto, confuso. Non percepii lo stesso astio che provava fino a pochi istanti fa, ma era evidente quanto ancora si sentisse ferito dagli avvenimenti.
    Accettai la sua mano, lasciandomi aiutare nel rialzarmi, pulendomi alla bell'e meglio il dorso sporco di nero, non osando immaginare le condizioni del resto del viso. Dovevo sembrare un orrore lovecraftiano in questo momento.
    Trattenni una risata, palesemente ironica ed esasperata, tirando anch'io un lungo sospiro, calmando lentamente i singhiozzi. Non era la prima volta che mi veniva il singhiozzo quando particolarmente stressata o nervosa.
    "Non c'è mai niente di facile nella mia vita." Ammisi. Per quanto ironica, vi era effettivamente un fondo di verità. Non ebbi un'infanzia felicissima, e neanche un'adolescenza semplice. Tra la morte di mia madre, la gestione di una sorella e gli abusi di mio padre, quando mai avevo effettivamente avuto un attimo di respiro?
    Mai.
    Seguii Basil fino a raggiungere la panchetta, sedendomi accanto a lui, lasciando che le nostre gambe si sfiorassero, così come le spalle. Era quasi buffo constatare come ormai le nostre braccia non fossero poi tanto differenti a livello di muscolosità. Osservai l'accordo che stava per premere Basil, riconoscendolo quasi subito, trattenendo il fiato.
    ... La mia melodia...
    Raffazzonata, sconclusionata, piena di errori e di troppe interruzioni. Ma non riuscivo a smettere di sorridere. Non gli corressi la postura delle mani, non gli sistemai le dita sui tasti corretti. Semplicemente lo lasciai suonare, prendendo lentamente il ritmo per quanto difficile, iniziando lentamente ad aggiungere anch'io qualche accordo extra, qualche nota in più. Suonare a quattro mani era sempre stato uno dei miei più grandi desideri. Avrei voluto farlo con mia madre, ma con lei non si poteva sfociare sull'improvvisazione, ed era sempre la cosa che più preferivo.
    Le nostre mani si incrociarono, sfruttando quell'attimo di distanza tra le sue per infilare la mia mano, suonando un accordo in mezzo, rendendo il tutto sempre più melodico, sempre più nostro.
    Vi era il mio intervento nella sua musica, ed era perfetta così, anche se con qualche errore, anche se con poca costanza.
    "Non si smette mai di imparare." Mi fermai anch'io quando lui smise di suonare, lasciando che i suoi pensieri fluissero, che le sue parole riempissero la stanza. Gli avevo rubato il palcoscenico anche per troppo tempo, avevo sinceramente bisogno che anche lui comunicasse, che mi parlasse.
    Quando iniziò a premere sempre la stessa nota, anche se molto stupidamente e inutilmente, senza neanche farlo apposta mi venne in mente un motivetto. Il tasto veniva comunque premuto con un certo ritmo, Vi erano un'infinità di melodie suonate con lo stesso accordo ripetuto e ripetuto ancora, così mi adattai. Replicai quello che avevo in mente sulla tastiera, lasciando che parlasse, lasciando che fosse lui stavolta a sfogarsi.
    Quella melodia stava aiutando entrambi ad aprirsi al dialogo, ci stava riavvicinando, ci stava mostrando una possibile seconda strada. Non che sarebbe stata facile anzi, forse era ancora più in salita della precedente... Ma, tutto sommato, per lui ne valeva più che la pena.
    "Non... Credo ci sia un giusto e un sbagliato, nella vita. Esistono soltanto delle scelte. Scelte personali, che nonostante vi possa essere un'influenza esterna, sono e rimarranno tue." La mano si fermò su un accordo grave, leggero, come a voler mutare l'atmosfera, a renderla più leggera. Il mio cuore fece una capriola a quelle due semplici parole con un significato immenso sulle loro spalle, mordicchiandomi il punto che avevo precedentemente fatto sanguinare e strizzando un poco gli occhi per il dolore, ma non affievolendo quella meravigliosa sensazione di felicità.
    Conclusi il suo accordo incompleto, lasciandolo continuare, lasciando che esponesse i suoi più che meritati dubbi, e che si concedesse un attimo anche lui per ragionare lucidamente su quanto appena accaduto. Feci un lungo respiro non appena concluse, chiudendo momentaneamente gli occhi, ascoltando quella vocina remota e dandole maggiore attenzione, più di quanto sia mai riuscita nella mia vita. Non ero mai stata brava con le parole, mi ero sempre fidata delle mie gesta, del mio istinto. Tuttavia, ogni singola fibra del mio corpo al momento mi urlava di comunicare, di mettere a voce quanto mi passava per la testa, di aprirmi e denudarmi del tutto di fronte a quella persona. Finora c'ero riuscita soltanto con Hikari, e mai fu una scelta più giusta di quella. Mi aveva portato a lei, mi aveva portato a conoscerla, ad amarla per quello che era... E sentivo che anche con Basil ne sarei stata capace, solo che finora - da bravi idioti - nessuno dei due lo aveva veramente fatto.
    Scavalcai con una gamba la panchetta, mi girai verso Basil, aspettando che anche lui fosse pronto a guardarmi negli occhi, ad aprirsi, a buttare giù quella maschera che ancora si sforzava di mantenere.
    "La fiducia è qualcosa di estremamente fragile, capisco che tu al momento non ti fidi più di me e delle mie azioni, davvero. Non posso obbligarti a farlo. Posso solo chiedertelo, posso solo sperare nella tua pazienza e nel tuo perdono in un futuro prossimo..." Le mie mani si muovevano in contemporanea alla mia bocca, usando segni che già conoscevo e comunicando sicuramente frasi a metà e sconclusionate, ma Basil sapeva bene che alcuni segni erano nuovi, studiati di recente, proprio perché non volevo perdere totalmente la comunicazione con lui. "Tuttavia, proprio come mi hai detto poco fa, nemmeno io ho le risposte. So solo che non voglio perderti, e non voglio perdere nemmeno lei. Come procedere d'ora in avanti, spetterà solo a noi deciderlo. Rispetterò le scelte di tutti, cercherò come possibile di far funzionare ogni cosa, ma un ponte non si costruisce da soli... E in questo caso, anziché quattro mani, ce ne saranno sei, se è quello che desideriamo." Non ricordandomi il segno che significava "mano"... Improvvisai come possibile, prendendo le sue se me lo avesse concesso, ponendole di fianco le mie, per poi rappresentare visivamente quelle di Hikari spostando le mie stavolta verso l'esterno.
    "Siamo cresciuti insieme, Basil. Io ho visto lati di te che nessuno si potrebbe anche solo immaginare, tu hai visto lati di me che nessun altro aveva mai visto." Posai una mano sulla mia coscia, dove vi era il tatuaggio dedicato a mia sorella, giocando con la calza e strappandola subito dopo, allargando il buco già presente. Sentii sotto i miei polpastrelli il bassorilievo della cicatrice, una delle tante. "Hai conosciuto le mie cicatrici, che per quanto ora le stia nascondendo sotto strati d'inchiostro, non se ne andranno mai più." Gli indicai stavolta la sua, che tagliava il volto a metà. Se me lo avesse concesso, gliela avrei appena sfiorata con l'indice. "E io ho conosciuto le tue, in ogni sua particolarità, in ogni suo difetto. E' proprio per questo che non puoi mostrarmi la maschera da Eroe di Shibuya. Io vedrò sempre oltre, tu per me sarai sempre trasparente..." Posai la mano chiusa a pugno ad altezza del mio petto, stringendo forte.
    Il cuore mi batteva all'impazzata, e nonostante i Reaper non sudassero, ero certa al cento per cento che in questo momento stessi sudando freddo. Erano parole difficili da esternare, vi rimaneva sempre un fondo di incertezza.
    Proprio perché nemmeno io avevo la più pallida idea di come procedere, di come andare oltre... Però volevo farlo, e avrei fatto di tutto per compierlo.
    "Ho passato una vita a tenermi tutto dentro. Non volevo ferire gli altri, non volevo sapessero di cosa combinava quel... Quell'uomo... E sono abbastanza certa mi abbia indirettamente creato una sorta di trauma, dove chiudo tutto in una scatola e ne nascondo le prove. Perché era quello il modo che conoscevo per non ferire gli altri, per non sentirmi ferita... E invece regolarmente finivo col combinare un gran casino..." Mi grattai una guancia, rivolgendo brevemente lo sguardo altrove, ma tornando su di lui subito dopo. "Ci sto lavorando, giuro che ci sto provando e... Credo che oggi abbia dimostrato qualche miglioramento - Insomma, non penso mi capiti tutti i giorni di dire a due persone diverse "ti amo"."

    Una volta che l'atmosfera si alleggerì un minimo, Basil giustamente chiese come procedere. Ed era un'ottima e più che legittima domanda, ma nemmeno io sapevo come procedere.
    "Nemmeno io fino a pochi istanti fa credevo fosse possibile, eppure... E' come sentirsi il cuore diviso in due, e non perché spezzato e ferito da qualcuno, ma perché diviso in due metà perfette, una dedicata a una persona... E una a un'altra." Ammisi a voce, sollevando subito dopo le spalle. Era difficile da spiegare, non vi era altro esempio che potesse rappresentare meglio quanto stavo passando. "E sì, certo che voglio parlarne anche con lei, ne ha pieno diritto... Ma, prima voglio assicurarmi che tu stia bene, che tu te la senta. Non forzerò nessuno dei due, vi parlerò separatamente all'inizio se necessario... Ma sì, prima o poi, coinvolgerei entrambi indistintamente. Non qua, non per forza oggi."
     
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    La ascoltai, annuendo alle sue parole. Le permisi di sedersi vicino a me, e suonare il pianoforte insieme, costruire una melodia a quattro mani, mentre mi seguiva e completava i miei accordi… Le stavo lasciando uno spiraglio, per avvicinarsi e comunicare. Tuttavia era evidente che quel muro tra noi era ancora lì, e difficilmente sarebbe stato abbattuto. Io stesso non ero ancora sicuro di volermi lasciare andare con lei.
    Per questo, con riluttanza, seguii ciò che Safira cercava di fare e mi voltai anch’io verso di lei, fissandola negli occhi. Di nuovo quella stupida sensazione: era lei, ed allo stesso tempo non era lei; i ricordi macchiati dalla menzogna e il tradimento, la fiducia infranta… Lei era Safira, ma allo stesso tempo non era quella che ricordavo. C’erano trascorsi tra noi, c’erano sentimenti, ma era come se la morte di entrambi ed in particolare questo tradimento avessero causato una sorta di… tabula rasa nel nostro rapporto. Ed era infatti in questa ottica che mi stavo approcciando alla questione, senza darne per scontato il lieto fine. Era come cercare di costruire un rapporto da zero con una nuova persona: sarebbe servito del tempo per imparare a conoscersi di nuovo, guadagnare la rispettiva fiducia, capire come nutrire la relazione e farla crescere in maniera sana, e non tossica e distruttiva per entrambe le parti coinvolte. Già una situazione del genere era complicata di per sé, aggiungere poi una terza persona nel rapporto…
    Rimasi in silenzio, ascoltando ciò che Safira aveva da dirmi. La mia espressione in viso rimaneva apatica, dura, ferita.
    Capiva anche lei che riguadagnarsi la mia fiducia avrebbe richiesto tempo ed impegno da parte sua, questo era inevitabile. La sua intenzione però era chiara: non voleva rinunciare né a me né a lei. E nel parlarne, per lo meno sembrava star poco a poco capendo i concetti di cui poco prima gli avevo parlato, ovvero rispetto e trasparenza. Se voleva davvero costruire qualcosa del genere, era necessario che tutti e tre fossimo d’accordo, e serviva impegno e comunicazione da parte di tutti, in particolare da Safira. A livello puramente logico, premesse del genere preannunciavano un disastro.
    Una parte di me in realtà ne rimase particolarmente ferita, perché lentamente realizzavo che questa ragazza, che conosceva da forse due settimane, aveva avuto lo stesso peso della nostra relazione durata mesi, almeno nel cuore di Safira. Certo, potevo capire che al cuore non si comandava, e che le connessioni umane prescindevano il tempo ed i trascorsi… tuttavia era comunque frustrante, come se in realtà la colpa di un simile esito fosse interamente mia, come se non fossi stato abbastanza per lei, per la nostra relazione… Non era semplice. Non lo era affatto.
    Lasciai che mi prendesse per un momento la mano, le permisi di toccarmi la cicatrice sul volto, senza però ottenere una particolare reazione da parte mia. In quel momento, era come se le sue parole e quello stesso contatto mi arrivassero in maniera quasi lontana, anestetizzata. A maggior ragione, dopo quelle parole, dopo tutti i nostri trascorsi… era doloroso e quasi umiliante accettare il fatto di avere comunque lo stesso peso di questa ragazza appena conosciuta. La trappola dell’ego, era forse questa?
    Annuii, quando si mise a parlare dei propri traumi e di come questo l’avesse influenzata. Avevo imparato con il tempo ad accettare i suoi difetti, a riconoscere i suoi meccanismi di difesa malsani ed a vedere oltre, anche a costo di venir ferito. Ne avevo sopportate tante per lei, perché sapevo fosse una persona ferita, che cercava solo di essere ogni giorno la versione migliore di sé a suo modo… E capivo fosse dura per lei, visti i suoi trascorsi, visti tutti i traumi che l’avevano segnata irrimediabilmente. Un’altra persona al mio posto forse si sarebbe allontanata, non avrebbe accettato certi comportamenti, ma io ero sempre rimasto nonostante tutto. Perché credevo in lei, credevo in noi. Oggi invece non ero più così sicuro ne fosse valsa la pena…
    Mi dispiaceva, ma in quel momento proprio non riuscivo ad essere così sentimentale e fiducioso come lei. Il fatto che fossi rimasto lì e ne stessi parlando, per me era già una dimostrazione anche forse esagerata dell’impegno che comunque stavo provando a mettere, per lei. Non riuscivo a condividere il suo stesso entusiasmo ed ottimismo. La mia era ancora una maschera severa, per quanto leggermente più aperta.
    - Non sono ancora sicuro di voler far parte di tutto questo, sia chiaro.- precisai infatti, anche a costo di essere troppo diretto e duro con lei. Non volevo prenderla in giro, né illuderla. - Ne stiamo parlando per ora solo in maniera ipotetica. Non voglio essere troppo frettoloso ad esprimere un giudizio. Per poter essere in grado di prendere una decisione ho bisogno di avere una visione del quadro quanto più completa possibile… e proprio per questo, io per primo voglio parlare con questa ragazza. Insieme. Oggi.- conclusi, con fare piuttosto pragmatico.
    Ero convinto questo fosse il modo più sensato e logico di agire. Perché stavo cominciando a capire sempre più cosa Safira volesse e come si sentisse, ma si parlava pur sempre di una terza persona. Anche la ragazza sarebbe stata dello stesso parere? Come si erano conosciute? Che sentimenti provava lei per Safira? Come si sentiva al riguardo di essersi intromessa in una relazione già esistente, contribuendo al tradimento? Era davvero pronta anche lei a condividerla in una relazione a tre? Oppure avrebbe preferito avere Safira tutta per sé? Dovevo sentire la sua versione dei fatti, capire come si sentisse al riguardo e quali erano le sue di intenzioni.
    - Oltretutto, non sono d’accordo con ciò che hai appena detto.- la contraddii in maniera ancora una volta severa. Non sapevo neanche perché stessi prendendo così tanto a cuore questo discorso, quasi a volerle insegnare e guidarla. Forse era l’influenza della maschera da Protettore di Shibuya, forse semplicemente volevo il meglio per lei e che fosse felice, senza ogni volta lei finisse ad autosabotarsi a causa dei suoi traumi… Sarà che in fondo, venendo comunque io da una famiglia funzionale, ero molto più incline ad avere un approccio più sano alle relazioni. In ogni caso, mi sentivo di parlarle, di farla ragionare.
    - Non mi piace questa metafora. Non pensare che io mi accontenti di avere solo metà del tuo cuore.- digitai, visibilmente infastidito stavolta. Non erano queste le premesse che intendevo accettare. - Io ti sto dando tutto il mio cuore, e non mi aspetterò qualcosa di diverso da te. E so per certo che nemmeno questa ragazza accetterebbe di meno.- continuai, e speravo che lei capisse dove la mia di metafora stesse andando a parare. - In una situazione del genere, non si tratta di dividere, ma di moltiplicare. Dovrai darci il doppio di te stessa, se vuoi anche solo sperare che tutto questo funzioni.- cercai di farle capire, in maniera stavolta più didascalica.
    - Sempre in maniera ipotetica, se vedrò che la relazione con questa ragazza intaccherà in qualche modo la nostra di relazione, e tu non riuscirai a gestirla nei migliore dei modi… io me ne andrò, sappilo.- chiarii, con severità e mano ferma. - Questo è l’impegno che mi aspetto, questo è quanto difficile è quello che stai cercando di fare. Spero tu capisca bene a cosa stai andando incontro, se le cose andranno davvero in quella direzione intendo.- conclusi infine, lasciandole qualche secondo per riflettere.
    Sapevo che era tanto da metabolizzare, ma era necessario parlarne quanto più nel dettaglio possibile. Safira doveva avere bene in chiaro cosa significava cercare di instaurare un modello di relazione simile. D’altro canto, per quanto io non avessi nessuna esperienza in tal senso e non fossi nemmeno sicuro di volermi infilare in una situazione simile, mi stavo comunque lasciando la possibilità di mettere in discussione me stesso e tutto ciò che pensavo di sapere riguardo alle relazioni. Quelle stesse parole erano guidate dall’istinto e da ciò che, a livello puramente ipotetico, mi sarei aspettato da una relazione simile.
    - A tal proposito…- ripresi, stavolta pronto a fare una domanda più diretta e personale. - Come ti sentiresti al riguardo, se fossimo io e questa ragazza a trovare invece un’altra persona e ce ne innamorassimo? Pur cercando di rispettare noi stessi questa regola in modo che la nuova relazione non finisca per intaccare quella che abbiamo con te… Tu saresti disposta a condividerci con altre persone?- le chiesi, a bruciapelo. Era una domanda legittima, ma anche una sorta di test per lei. Era più facile essere nella sua posizione piuttosto che nella nostra, e perciò volevo ora sondare il terreno e capire come si sarebbe sentita al riguardo. Era davvero pronta ad essere ripagata della stessa moneta, oppure si sarebbe rivelata tutta solo ipocrisia…?
    Inoltre, a prescindere da tutto, quella era comunque una domanda legittima. Mi accorgevo ora che se eravamo finiti in questo casino, forse era proprio per la nostra inesperienza, poiché non avevamo mai discusso sul serio su che tipo di relazione volessimo l’uno dall’altra. Eravamo partiti credendo che la nostra fosse una relazione monogama di base, ma ora il tentativo era di allargarla ad altro forse… Se questa era l’intenzione, non avremmo commesso di nuovo lo stesso sbaglio. Bisognava discutere di che tipo di relazione stavamo parlando in questo momento, perciò ogni domanda era sensata e lecita in una situazione delicata come la nostra.
     
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    Tirai un lungo, ma necessario, sospiro di sollievo. Aveva smesso di rifiutarmi, così come i miei tentativi di ricercare un contatto non venivano del tutto rifiutati. Non dimostrava particolari reazioni, era piuttosto normale dopo tutto quello che era successo, ma se non altro non mi stava scacciando malamente...?
    "... Va bene, vedrò di chiamarla allora. Mettiamo in chiaro una cosa, però, prima di procedere." Mi fermai dal tirare fuori il cellulare, dedicando ancora tutta la mia attenzione nei suoi confronti. Per quanto percepissi ancora un gigantesco muro tra noi due, sentivo una lenta ma costante breccia, ne ero più che certa.
    Eravamo entrambi cambiati, in meglio o in peggio, non era di mio interesse. Il Basil che conoscevo non avrebbe reagito in maniera così apatica. Il Basil che conoscevo non avrebbe tirato su addirittura una maschera, pur di difendersi dai propri sentimenti, dalle azioni altrui.
    Il Basil che conoscevo mi avrebbe parlato sopra, avrebbe pianto a dirotto, probabilmente mi avrebbe pure urlato contro. Nessuno dei due era stato particolarmente bravo nel dialogo, non avevamo dedicato abbastanza tempo alla nostra relazione affinché crescesse e si approfondisse. Ci eravamo conosciuti meglio, è vero, ma il tutto era ancora a livello abbastanza superficiale, e nonostante la convivenza, avevamo ancora passato i momenti migliori di una relazione, ovvero le fasi iniziali. Sentivo che il sentimento era forte per entrambi, è vero, ma da qui a dire che condivido lo stesso legame che Yuki ha condiviso con Gilbert... Vi era ancora un oceano tra la mia esperienza e la sua.
    "Ho bisogno che anche tu mi comunichi in maniera trasparente ciò che provi, ciò che senti. E non imponendo la tua idea, ma semplicemente condividendola. Stiamo entrambi imparando adesso cosa significa tutto questo, sono confusa e affranta tanto quanto te. Quello che so e ciò che provo te l'ho già detto, di più non so dirti... Riesci pertanto ad avere anche tu un attimo di pazienza? Sto schiarendo anch'io adesso le mie idee, le sto lentamente concretizzando." Mi alzai, aiutando anche lui ad alzarsi se fosse stato necessario. Girai intorno il pianoforte, procedendo a chiuderlo e sistemarlo come prima, riposizionando con estrema cura il panno sopra i tasti e richiudendoli. "Forse è banale dirlo, ma penso sia necessario per entrambi. Non compararti a lei, non sentirti geloso in alcun modo. Ciò che ho condiviso con te non è lo stesso che ho condiviso con lei, e... Non vederla come una "sconfitta" soltanto perché con lei le cose sono state più veloci, ma altrettanto significative. Ciò che importa è quello che condividiamo adesso, che potremmo condividere... Oppure mettere un punto a tutta questa storia. Vada come vada, i miei sentimenti per te non muteranno, mai. Ma rispetterò ogni tua decisione, penso sia il minimo che possa fare." Sbuffai, infilando le mani in tasca e rigirandomi il pupazzino che mi aveva regalato qualche giorno fa Hikari. Abbozzai un sorriso, nel mio immaginario era come se una parte di lei fino ad adesso mi fosse rimasta accanto e mi avesse supportato, fino alla fine. Certo, forse lei da questo punto di vista era più... Comprensiva, se così si poteva dire. Meno cocciuta, quello indubbiamente, però...
    Però non potevo fare a meno di volergli comunque bene, di amarlo, nonostante tutto.
    Gli diedi le spalle, avviandomi verso l'uscita della stanza, fermandomi a metà strada alla sua correzione del mio immaginario.
    "Huh, sì forse così è più comprensibile. Chi mai l'avrebbe detto... Safira Lemaire, pronta a mostrare amore al 200%. A più di un essere umano, per giunta." Mi sentivo chiaramente più leggera di prima, e anche se in quel momento Basil poteva non star condividendo il mio stesso fievole entusiasmo, ero comunque felice della conclusione del nostro discorso. Ci eravamo aperti, avevo confessato tutto quello che provavo, avevo apertamente ammesso i miei sentimenti e mi ero mostrata fragile e vulnerabile, ancora una volta. I nostri trascorsi erano burrascosi, per quanto Basil fosse certo di essersi comportato nel miglior modo possibile, anche lui aveva commesso i suoi errori, anche lui aveva aperto bocca una volta di troppo... Ma non potevo fare a meno di pensare che, nonostante tutto, stavamo crescendo, insieme, nel meglio. Il percorso sarebbe stato ancora lungo e tortuoso, forse si sarebbe interrotto a metà strada... Ma così andava avanti la vita.
    E io, in fin dei conti, non avrei mai smesso di camminare.
    "Penso sentirei tutto tranne che gelosia, sincero. Insomma... Chi era pure che avevi incontrato in sogno? Quella ragazza che vuoi salvare... Tutte le volte che mi dici il suo nome, finisco per dimenticarlo. Chissà perché... Comunque, non mi avevi detto che l'avevi sognata più volte?" E ricordo fin troppo bene che tipo di sogni mi descriveva. E io, tanto per studiarne la reazione, gli raccontavo dei miei di sogni...
    Peccato che l'unica reazione che avevo da parte sua, era un "vorrei farne parte anch'io".
    Sospirai. Sì, era decisamente cambiato.
    "Dimentichi una cosa, Basil. Tendo a dimenticarla anch'io, ma penso sia semplicemente perché non ho ancora collegato tale informazione... Io sono immortale, non invecchierò mai né avrò più bisogno di mangiare né di bere. Voglio vivere e condividere ogni lato di me con le persone che più amo, non voglio più rinunciare a niente. E anche voi non dovete essere da meno. Se vorrai vivere un'avventura con qualcuno, o se ti innamorerai di un'altra persona, lo capisco. Se vorrai lasciarmi, o se lei vorrà lasciarmi, o se entrambi vorrete lasciarmi... Lo capisco. La vita è troppo breve per rimuginare su certe cose, è giusto viverla appieno, conservarne i ricordi più belli e non infanganserli con quelli più brutti. Ricerca sempre la tua di felicità, non pensare agli altri, non pensare a me. Pensa a te stesso, a quello che più desideri nel profondo, e segui l'istinto. Commetterai errori, certo, io stessa ne ho appena commesso uno enorme... Ma non indugiare solo per paura di sbagliare. E' da quegli stessi errori che si impara, e si migliora." Mi voltai un'ultima volta verso di lui, squadrandolo dalla testa ai piedi, studiandolo nei minimi dettagli, imprimendomi la sua immagine. Cavolo, è vero, l'essere umano cresceva e mutava così in fretta... Sono passati solo pochi mesi, eppure sembra più alto, più cresciuto, più adulto. E l'idea che sarebbe cresciuto e invecchiato sempre di più, mi metteva una profonda tristezza... Ma mi sarei sentita onorata se fosse stato contento nel condividermi ogni suo singolo cambiamento, ogni sua nuova ruga.
    "Vado a darmi una sistemata, e a chiamarla. Dammi un attimo." Uscii quindi dallo studio di mamma, dirigendomi verso camera nostra, superandola e aprendo la porta del bagno. Una sistemata al trucco - stavolta togliendolo del tutto -, ai capelli e infine evocando la mia inseparabile giacca di pelle. Le mie dita si soffermarono sulla spilla, la spilla che mi aveva regalato Basil, che mi volle fare la sorpresa attaccandola al primo indumento che mi vedeva sempre addosso. Peccato si trattasse proprio dalla giacca di pelle, rovinandola di conseguenza... Ma poco importava, non era altro che una giacca, e anche se l'aveva rovinata... Non mi sarei mai azzardata a toglierla.
    Tirai fuori il cellulare, fermandomi un attimo dinnanzi il nome di Hikari scritto sullo schermo... Per poi scorrere col pollice, e far partire lo squillo.
     
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    Fu proprio quel pensiero nato dalla gelosia e dall'umiliazione di non essere stato abbastanza per lei, che mi portò indirettamente a mettere in discussione pure me stesso ed il ruolo che avevo avuto nella nostra relazione. Si poteva dire che fossi stato davvero un partner ideale per lei? Potevo permettermi l'arroganza di credere di essere quello a non aver mai sbagliato? Ovviamente no, ne ero consapevole… Non sempre ero riuscito ad avere un rapporto empatico con Safira nel nostro rapporto, io che ero conosciuto proprio per la mia empatia anche tra i Keyblader! Evan stesso alla Torre me lo aveva confermato, mi aveva fatto capire che c'erano diversi motivi per cui eravamo stati scelti dal Keyblade, e forse il mio poteva essere proprio questo: la capacità con cui riuscivo a creare connessioni e toccare i cuori della gente, un'abilità che in un certo senso mi aveva accomunato nel tempo a Sora, l'Eroe del Keyblade.
    Perché proprio con Safira non ero quasi mai riuscito ad avere questo approccio? Era solo lei ad aver creato un muro tra noi, oppure la responsabilità era anche mia? Eravamo due teste calde, cocciuti come muli, entrambi convinti di essere nel giusto e pronti a battersi con le unghie e con i denti pur di provarlo. Spesso e volentieri era un "io contro di te", e non un "noi contro il problema", un approccio che invece doveva essere la base di una relazione sana!
    Avevo detto che, se davvero eravamo intenzionati a riprovarci, dovevamo essere entrambi dei partner migliori. Non potevo scaricare tutta la colpa su Safira, sarebbe stato miope da parte mia, oltre che ipocrita. Questi pensieri mi portarono via via a lasciare lentamente la presa, ad allentare la tensione. Era vero, aveva commesso un errore orribile, un errore che avrebbe cambiato per sempre la nostra relazione, ma almeno era qui… almeno ne stava parlando, almeno si stava prendendo le proprie responsabilità, almeno non stava più mentendo né nascondendosi. Non era qualcosa che potevo dare per scontato, solo perché in questo momento ero estremamente ferito.
    Sospirai, ancora una volta, scuotendo le spalle quasi a voler rilasciare tutta quella tensione accumulata fino a quel momento. Era così difficile.
    - Hai ragione, scusa.- riuscii solo a digitare inizialmente, dopo che Safira ebbe finito di parlare. Forse questa stessa frase l'avrebbe sorpresa, sia perché non era qualcosa che ci dicevamo spesso l'uno all'altra specialmente dopo un confronto intenso, sia per il fatto che era stato pronunciato proprio in una situazione così delicata in cui avrei avuto tutte le ragioni del mondo per continuare a credere di essere l'unico a non essere nel torto. Ed in realtà, non ero poi l'unico ad essere maturato: Safira aveva ragione, dovevo rispettare i miei stessi consigli ed essere trasparente anch'io con le mie emozioni, per quanto possibile; inoltre, ironico che questo consiglio venisse proprio da una persona che era ora immortale, la vita era davvero solo una, e dovevo viverla al meglio per me stesso, non per gli altri. Era un punto dolente, forse il fulcro stesso dei miei problemi attuali.
    - Vuoi sapere come mi sento?- chiesi alzando lo sguardo e fissando il suo con intensità, ma comunque stanchezza - Nel giro di pochi giorni, ho quasi perso il mio migliore amico… Ho perso te, la ragazza che amo. Ho perso Yuki, una mia preziosa amica, così come altri due compagni Keyblader. La guerra era un disastro, io ero un disastro. Ho assistito ad Evan, Gilbert ed altri dei miei amici venir poco a poco spezzati nell'animo, senza poter far nulla al riguardo. Io stesso ero troppo immerso nel dolore e nella paura per poterli raggiungere, per poterli aiutare.- muovevo le dita in fretta, digitando sul Voice Glove con fare quasi febbrile. Cercavo di mettere a parole i miei sentimenti, ma era troppo difficile, troppo riduttivo. - E poi, proprio durante il periodo più buio della mia vita… L'attacco a Shibuya è successo. Quel giorno ho rischiato di perdere tutto: il mio mondo, la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, il mio migliore amico… di nuovo.- dannazione Kouichi, ora che ci riflettevo avrei potuto giurare che prima o poi mi avrebbe fatto venire un infarto! - Ero terrorizzato. E come se non bastasse, come se il ruolo di Keyblader non fosse già abbastanza pesante… Sai cosa si prova ad avere il peso di un intero mondo sulle proprie spalle? La pressione di migliaia di occhi puntati su di te, il peso di milioni di vite da salvare…?- il fiato mi veniva a mancare, come un cappio stretto al collo. Le mie mani tremavano incontrollate - Sai cosa si prova ad andare contro a morte certa, consapevolmente? A sacrificarsi per il proprio mondo nella speranza di guadagnare anche solo qualche stupido minuto? L'intero universo ci stava guardando e contava su di noi… e noi non eravamo abbastanza. Io non ero abbastanza.- abbassai le spalle e le braccia, sconfitto.
    - Io sono morto quel giorno.- esitai, non stavo nemmeno davvero parlando, eppure la gola mi si era fatta secca -… E non credo di essere mai davvero tornato in vita da allora. Questa maschera è tutto ciò che mi rimane, l'unico motivo per cui sto riuscendo ad andare avanti, a trascinarmi nonostante tutto. Perché so che là fuori, forse, qualcuno ha ancora bisogno di me.- ammisi, sempre più esausto.
    Presi di nuovo fiato. Mi costava una fatica enorme aprirmi con lei, specialmente dopo quello che aveva fatto. Avevo pure il terrore di poter passare per un vittimista solo perché stavo esternando come mi fossi sentito fino a quel momento.
    - Il Protettore di Shibuya, il simbolo, l'eroe, il martire, il Keyblader che è riuscito a ferire Fastus…- elencai con nausea e disgusto - La realtà è che sono un buono a nulla, brutto, goffo, stupido, ridicolo, petulante, che continua a commettere un errore dopo l'altro, che non fa altro che combinare guai e creare grattacapi a chi gli sta attorno… Sono un disastro, questo sono. E sono stanco di fingere che non sia così, sono stanco di cercare di essere migliore di così. Non… non ce la faccio.- annaspai in cerca d'aria, gli occhi che mi si facevano lucidi. La rabbia che saliva. Il ricordo dei Confini della Creazione che si faceva più vivido, umiliante.
    - Ti ho pianta, per così tanto tempo…- esitai, non volevo buttarle addosso tutto questo… ma se voleva che parlassi di come mi sentivo, allora era inevitabile dover affrontarla senza filtro alcuno. - Mi mancavi… Mi mancava l'unica persona che credevo mi amasse ed accettasse per chi ero veramente. Ogni giorno senza di te è stato un inferno… Come pensi mi sia sentito a venire a sapere che sì, eri tornata in vita… solo per evitarmi e tradirmi con un'altra persona?- le chiesi, e forse ormai ero pure troppo stanco per arrabbiarmi oramai.
    Ero esausto. Non sentivo nemmeno più che questa vita mi appartenesse, in fondo. Come potevo anche solo seguire il consiglio di Safira, e pensare a me stesso, a cosa mi faceva davvero felice? Non lo sapevo, faticavo a vederlo ormai. Continuavo a ripetermi che la mia vita era solo una barzelletta, di quelle neanche troppo divertenti.
    Mi sedetti per terra, di nuovo, sconsolato. Mi portai le ginocchia al petto, abbracciandole ma lasciando comunque la mano con il Voice Glove libera di digitare. Non aveva poi ormai così tanta importanza tutto questo.
    -… Non so nemmeno il nome di quella ragazza. Lei è il mio Compito. Per quel che ne so quei sogni potrebbero essere stati solo dei suoi tentativi di entrare in contatto con me…- cercai di sdrammatizzare, il mio primo tentativo di portare un po' di leggerezza, pur di sviare l'argomento. Il peso di ciò che avevo appena rivelato era troppo, era la prima volta che dicevo ad alta voce quei pensieri a qualcuno. Un profondo senso di colpa e di vergogna si fece largo nel mio petto.
    - Forse dovrei darmi una sistemata anch'io, in questo momento sembriamo entrambi un disastro… o meglio, degli orrori lovecraftiani.- aggiunsi sovrappensiero, commentando con un aggettivo che avevo sentito spesso usare da Safira. Riabbassai lo sguardo e continuai ad abbracciarmi in quel modo. Per quanto avessi ammesso di aver bisogno di darmi io stesso una sistemata, la realtà era che non avevo alcuna forza né la volontà di alzarmi in quel momento. Ero davvero in grado di affrontare una discussione del genere, con una terza persona che non conoscevo e di cui non mi fidavo in alcun modo?
     
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    Alle sue scuse, mi bloccai momentaneamente allo stipite della porta. Basil che si scusava, nei miei confronti per giunta, era una rarità, e la cosa mi fece inarcare un sopracciglio, portandomi a voltarmi verso di lui. Non era un argomento facile da digerire, non lo sarebbe stato per nessun essere umano al mondo, e il fatto che si stesse scusando... Significava davvero molto per me.
    Rientrai momentaneamente nello studio, ricambiando quello sguardo così intenso eppure stanco, annuendo tacitamente alla sua domanda e lasciandolo parlare, senza interruzioni, senza particolari accorgimenti.
    Entrambi avevamo appena passato un periodo veramente orribile, alle spalle ci portavamo un macigno talmente pesante da far spiaccicare a terra chiunque altro... Eppure entrambi eravamo ancora lì, vivi, a sopravvivere. Continuavamo ad andare avanti, a trascinarci una gamba per volta, passo dopo passo, senza mai fermarsi. E nessuno dei due mostrava apparenti crepe. Basil aveva tirato su una vera e propria maschera, rappresentando il sé stesso allegro e stupido per il bene degli altri, ma che in realtà celava una vulnerabilità unica nel suo genere. Io invece rispondevo con fare aggressivo, allontanando tutti, celando le mie di crepe dietro mura altissime, dietro strati e strati di apparente forza. In tanti erano sempre pronti a dirmi quanto fossi forte, quanto fosse spiccato il mio carattere, o il mio stile... Ma veramente in pochi sapevano cosa si celava dietro quella farsa, quale fosse invece la reale me.
    E Basil faceva parte di quella stretta cerchia.
    "... Ho il peso dei morti, delle loro anime. Al momento esteso a più mondi oltre Shibuya, ho la responsabilità di dare una seconda chance a quante più persone possibili... Ed esserne contemporaneamente il carnefice. E' grazie a noi Reaper se tante persone là fuori stanno tornando, ma è sempre grazie a noi se, nel caso... Queste persone non ci arrivano." Mi allungai verso un armadio, tirando fuori dei fazzoletti. Ne presi uno, togliendomi maldestramente il nero che era colato sulle guance, allungandone poi uno anche a Basil. Mi sarei anche allungata in cucina per prendere dell'acqua, se solo quella casa non fosse inabitata da ormai un paio di mesi. "Tu sei un eroe per i vivi, qualcuno che oltre compiere il proprio dovere, ci mette anche la faccia. Io invece agisco dietro le quinte, raggiungo persone che voi non siete stati in grado di raggiungere, e gli concedo una seconda possibilità. Quindi sì, capisco il fardello che ti porti appresso giorno dopo giorno, ho però il beneficio dell'anonimia." Mi sedetti accanto a lui, lasciando che si tranquillizzasse un attimo, che riprendesse fiato.
    "Vedere la morte sorriderti in faccia è un'esperienza che non auguro a nessuno, sopratutto se consapevoli che dopo la morte, ti attende il nulla... Tu però sei qui, sei vivo, sei riuscito a respingere Fastus malgrado tutto. Sii semplicemente grato di riuscire ancora a respirare e camminare, è quello che conta alla fine. Joshua ha fatto in modo che né tu né Kouichi perdeste la vita, vi ha concesso una seconda possibilità. E capisco che alle volte anche il semplice respirare sembri un compito arduo, impossibile... Ma è anche vero che, grazie a te, tante persone hanno ancora una casa, una speranza, una famiglia." Mi fermai un attimo, ragionando. Era un argomento molto complicato da intraprendere, una distesa di ghiaccio sottilissimo, prossimo a rompersi se non sapevi con esattezza dove mettere i piedi. Ma andava fatto, qualcuno glielo doveva dire. "E' orribile da dire, io in primis so quanto voi Keyblader siate umani oltre che eroi, ma è questo che avete scelto di essere. E' questo l'incarico che avete accettato, e queste sono tutte le conseguenze, nel bene e nel male. Porti tanta gioia nella vita di innumerevoli persone, porti speranza anche lì dove il terreno è il più arido... Ma questo, può comportare sacrifici, può comportare fardelli che non tutti sono pronti a sopportare. "Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità", nevvero?" Mi sarei portata davanti a lui, allungando le mani per provare ad aprirlo da quella posizione, a fargli abbassare le gambe e riguardarmi negli occhi.
    "Tuttavia, questo fardello puoi condividerlo con altri, questa maschera puoi tirarla giù nell'attimo in cui parli con le persone a cui più tieni. Sei un eroe, sei un martire, un simbolo... Ma sei anche goffo, E sì, alle volte stupido, petulante, divertente, testardo, pazzo... Essere dei disastri è ciò che ci- che vi rende umani, e va benissimo così. Accetta ogni tuo lato, ogni tua sfaccettatura, accettati per quello che sei. Io l'ho già fatto, e in te non vedo l'ideale che hanno creato. Per me sei Basil, nient'altro. Nella Luce e nell'Oscurità, nel bene e nel male, nel te eroe e nel te disastro." Avrei tanto voluto abbracciarlo, fargli sentire che gli ero vicina anche fisicamente, ma sapevo che forse avrei oltrepassato un certo limite. Mi sarei quindi limitata ad allungare la mano, se me lo avesse concesso, e... Accarezzargli la testa.
    "Ti chiedo di nuovo scusa per questo mio comportamento davvero, non oso immaginare quanto tutto questo ti abbia ferito, e quanto tempo ci metterai per riprenderti. Sii soltanto consapevole che da te non chiedo né pretendo nulla. Ti aspetterò per tutto il tempo necessario- insomma, sono letteralmente immortale, hai voglia di aspettare- e che nonostante tutto, per te ci sarò sempre. Ti osserverò anche solo da lontano se necessario, ma rimarrò sempre nella tua ombra." Decisi quindi di non andare ancora di là in camera, sedendomi stavolta di fronte a lui in attesa, assicurandomi fosse lui in caso a proporre di voler incontrare o meno Hikari. Non avrei di certo forzato il loro incontro, avrei comunque atteso che entrambi fossero pronti a intraprendere un simile discorso. Hikari sarebbe comunque stata informata della discussione avvenuta oggi, a tempo debito.
    "Sai, io e te siamo molto simili... Tu hai imparato a ergere questa maschera, io a ergere mura impenetrabili. E sembra che proprio questi nostri meccanismi di difesa finora non ci abbiano mai dato l'effettiva possibilità di comunicare correttamente... Forse è anche per questo che, fino ad oggi, quella capacità che hai di legare con tutti, con me non sia stato lo stesso. Forse... E' ora di buttare giù le difese di entrambi, di accettarci per quello che siamo, e di resettare tutto. Non... Non credo di essermi mai sentita così compresa da te come adesso... E credo sia anche per questo che, nonostante tutto quello che è successo, io non mi voglia arrendere con te. Non ancora."
     
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    La maschera non era solo per proteggere me stesso, ma soprattutto per proteggere Safira da me. Io l’amavo, per quanto si può amare una creatura imperfetta, con pregi e difetti. E specialmente su questi ultimi, spesso avevo chiuso gli occhi, ed avevo guardato oltre, conscio che i suoi comportamenti e certe sue meccaniche malsane fossero del resto solo frutto dei suoi traumi infantili. Perdere la madre, vivere con un padre abusivo, doversi far carico della propria sorella gemella, non era affatto qualcosa di facile: era qualcosa che irrimediabilmente condizionava la crescita di una persona, era solo il risultato di un tentativo di adattamento all’ambiente tossico in cui viveva… E si sapeva, da una situazione malsana come quella, difficilmente ne usciva qualcosa di granché sano a sua volta.
    Non ne facevo una colpa a Safira. Sapevo che non era mai sua intenzione ferire davvero chi le stava intorno, che non sempre riusciva ad aver controllo sul proprio carattere e sulle proprie azioni… ma quanto a lungo avrei potuto scusarla ancora? La comprensione e l’empatia erano necessarie in una relazione, ma quando il limite tra carnefice e vittima si faceva più sottile e sbiadito?
    Sembrava tutto così normale mentre ci stavo insieme ogni giorno, ma dopo così tanto tempo lontano da lei, certi comportamenti diventavano ancora più lampanti… E sapevo che purtroppo lei non se ne rendesse pienamente conto. Mi aveva ignorato per settimane, mi aveva tradito, ed ora io stesso non sapevo più a cosa credere: quanto di quello che mi diceva era sincero e non un tentativo inconscio di manipolarmi…? Tutto quel preambolo per giustificarsi per non essermi venuta a trovare, per non aver incontrato quello che in teoria era il suo fidanzato, che fino a quel momento era stato in lutto per la sua morte! Spingermi a provare empatia e pena nei suoi confronti, quando la ragione principale era invece un'altra. Un'attenta tela del ragno che veniva poco a poco tessuta attraverso le sue parole… Quale ragazza poi comunicava la notizia di un tradimento al proprio fidanzato lodando l'altra persona su quanto fosse perfetta, come se non avesse davvero avuto altra scelta che baciarla, come se io non fossi mai stato abbastanza fin dal principio…? E poi dopo tutto questo, quella scenata, cercava comunque di tenermi stretto a sé, ingarbugliato nella sua ragnatela di menzogne e manipolazione. Ed io come uno stupido ci stavo anche cascando, rimanendo poco a poco sempre più intrappolato, quasi accettando passivamente una situazione che sapevo mi avrebbe fatto star male.
    Avevo iniziato a parlare di come gestire questa situazione, era l'unica cosa che riuscivo a fare in questo momento, eppure avevo sempre tenuto tutto a livello puramente ipotetico. Nonostante ciò, il cambiamento nel suo comportamento era stato evidente: sembrava essersi già lasciata la questione del tradimento alle spalle, comportandosi come se già avessi accettato… e anzi, quasi offendendosi per le mie domande e chiedendomi di avere pazienza. Dopo che io stesso le avevo detto che, per rispetto nei miei confronti, avrebbe dovuto prima capire sé stessa e dopo venire a parlarmi? E poi… Era confusa ed affranta quanto me…? Ero io quello ad essere stato tradito, se ne rendeva conto mentre parlava? Mi chiedeva di condividere la mia idea e non imporla, quando semplicemente ciò che giustamente le avevo detto era solo che… non sapevo se me la sentivo di fare questa cosa, e che se mai ci avessimo provato ed avessi sentito che la nostra relazione ne avesse risentito, allora me ne sarei andato. Stavo letteralmente cercando di pensare alla mia felicità, come lei stessa mi aveva consigliato, perché sembrava stesse cercando di farmi sentire in colpa per questo…? Perché sembrava non accettare una mia reazione del genere, quando lei per prima a parole diceva di essere consapevole che non sarei riuscito a perdonarla…? E quell'uscita sulla ragazza che avevo sognato, quella legata al mio Compito da Keyblader, implicando una dinamica che non esisteva, pur di distogliere l'attenzione dalle proprie di colpe? Oppure stava cercando davvero di mettere sullo stesso piano il sognare una ragazza che dovevo salvare, ed il scegliere coscientemente di tradire il proprio fidanzato? Stava approfittando della mia confusione, cercando di affrettare il tutto, di non darmi il tempo di ragionare… Che diavolo di giochetti mentali stava cercando di fare…?
    Ero esausto da tutta questa dinamica.
    E dopo tutto questo, perché ero finito io ad essere quello a scusarsi? Chi mi credevo di essere? Perché mi stavo facendo ingarbugliare di nuovo da lei?
    Avrei solo dovuto scappare, allontanarla, smettere di vedere la luce anche nella più buia oscurità, smettere di vedere il potenziale nella gente e accettare le persone per chi erano davvero… in questo senso forse ero troppo buono, troppo innocente. E non era necessariamente qualcosa di positivo, né qualcosa di cui andare fiero.
    Però era così. Non riuscivo a non vedere il buono in Safira, a desiderare il meglio per lei, a volerla comunque nella mia vita. Ciò che dovevo capire ora era proprio questo: che ruolo volevo Safira avesse d’ora in poi? Volevo ancora una relazione con una persona del genere? Oppure avrei dovuto rimanerci solo amico e magari evitarla per i primi tempi, almeno fino a che non mi fossi ripreso? Cosa avrebbe reso me stesso felice, stavolta per davvero?
    Io l’amavo, forse mi sarei anche sacrificato per lei pur di vederla felice, anche a costo di confinarmi in un tipo di relazione che avrebbe potuto non rendermi felice… No, non potevo più continuare in questa direzione. Non potevo lasciare il mio cuore decidere per me di nuovo, c’era bisogno di ragionare a mente lucida, e pensare a cosa davvero mi avrebbe fatto stare meglio.
    Quale era la scelta giusta…? Non ne ero ancora sicuro, ciò che però sapevo per certo era quale era invece quella sbagliata: assecondare il suo gioco, ignorare il tradimento e cacciarmi in un tipo di relazione che partiva purtroppo da premesse molto sbagliate. No, non era questa la scelta giusta, decisamente. Non lo era per me, almeno.
    C’era del buono in Safira, per quanto scostante, per quanto nascosto dietro ad alte mura fatte di apparenze e meccanismi a volte malsani e da decostruire con il tempo. E questo me lo aveva provato anche ora, tornando indietro da me, riuscendo ad avere un approccio stavolta più empatico, meno ristretto dalla propria visione o dalla propria volontà di come avrebbe voluto fossero andate le cose tra noi. Su una cosa aveva ragione però, c’era un segno di cambiamento tra noi ed il nostro rapporto, un cambiamento forse in meglio. Tuttavia non era ancora una base solida su cui costruire un rapporto, era qualcosa che avrebbe dovuto essere coltivata nel tempo, se ci fosse stata la volontà da entrambe le parti.

    Misi da parte tutti quei pensieri per un momento soltanto, e lasciai che Safira parlasse. Accettai i fazzoletti, cercai di darmi una sistemata come possibile, mentre lei tornava a sedersi accanto a me, in una situazione molto simile a quella che avevamo già vissuto davanti alla porta di ingresso.
    Mi sentivo terribilmente a disagio ad essermi aperto, arrivando a provare un profondo senso di vergogna. Una volta ero più libero riguardo alle mie emozioni, cosa era cambiato…? Era davvero solo frutto dell'incredibile pressione costante a cui ero stato sottomesso?
    Quelle parole, per quanto venissero forse dalla persona più sbagliata in quel momento… erano comunque giuste. Riuscirono a raggiungermi, a farmi sussultare, mentre il peso dal mio petto si faceva un pochino più leggero. Di nuovo gli occhi mi diventarono lucidi, ed la prima reazione istintiva fu di alzare il cappuccio e nascondere il viso tra le mie braccia, proprio come era successo a Shibuya davanti alle telecamere, dopo la mia morte. Il mio respiro era irregolare, segno che stavo trattenendo a stento un pianto.
    Ascoltavo le parole gentili di Safira, sapevo fossero vere, sapevo che avevo fatto del bene e che avrei continuato a farlo… eppure perché sembrava tutto così falso, così immeritato…? Perché dovevo essere sempre così duro con me stesso? Safira era riuscita a mettere a parole quel dolore, a vedere oltre la maschera, a capire quanto umani e fallaci fossimo noi tutti, me compreso. Una realtà che, purtroppo, veniva più facile accettare negli altri piuttosto che in noi stessi. Era davvero difficile accettare quelle parole da parte sua, per quanto significassero moltissimo per me, e purtroppo la fiducia tradita in questo momento non aiutava di certo… Fu forse proprio questo mio sfogo, questa mia eruzione emotiva, come un vulcano a lungo dormiente, che le aveva fatto capire di essersi spinta troppo oltre. Sembrava aver capito, stavolta per davvero, la gravità di ciò che aveva fatto.
    Nonostante tutto, la lasciai accarezzarmi la testa, mentre io ancora sconsolato tiravo goffamente su con il naso.
    - Sembra quasi una minaccia da stalker…!- riuscii solo a scherzare di rimando, con una mezza risata soffocata, riferito al fatto che lei sarebbe rimasta a guardarmi da lontano se necessario, rimanendo nascosta nella mia ombra. Tirai su con il naso ancora una volta, alzando la testa che fino a quel momento avevo nascosto, e voltandomi poi verso Safira, il cappuccio ancora alzato. Gli occhi erano ancora rossi e gonfi. -… ma grazie per le tue parole, significano molto per me.- avrei infatti digitato, tentando un sorriso un po' stanco e forzato.
    Non era l'unica a sentire che qualcosa fosse cambiato, che ci fosse la possibilità di poter ricostruire qualcosa con il tempo, qualcosa di migliore. Non era l'unica a sentirsi finalmente compresa dall'altra persona. Eppure era chiaro che, per come stavano le cose ora, tra noi non poteva funzionare. Quando parlava di buttare giù le rispettive difese, di accettarsi e resettare tutto… aveva scelto le parole giuste.
    - Hai ragione, c'è bisogno di resettare tutto.- mi asciugai gli occhi con il dorso della felpa. Cercavo di regolare il respiro, di calmarmi, ma era difficile: per quanto avessi iniziato lentamente a sentirmi più vicino a Safira in un certo senso, al momento rimaneva comunque una persona di cui faticavo a fidarmi, per questo persino aprirmi fino a tal punto era risultato quasi terrificante per me. L'idea di aprirmi ancora una volta nei confronti di una persona del genere, era a dir poco pericoloso. Non mi sentivo più così al sicuro vicino a lei, proprio per via di quella sua incostanza: avrei trovato comprensione, oppure una reazione brusca ed a tratti manipolativa? Richiedeva davvero un atto di fede.
    - Noi… non possiamo continuare a stare insieme.- sentenziai infine, cercando ancora una volta il suo sguardo - Non così, almeno. Ci stiamo solo facendo del male.- sospirai, conscio che lei stessa sapesse di cosa stavo parlando. C'erano già dei problemi nella nostra relazione, prima ancora del tradimento. Non c'erano solide basi per continuare, né per ricostruire qualcosa: la nostra relazione andava smantellata completamente, andava ricostruita da zero con nuove basi, stavolta più solide… sempre se mai fossimo arrivati a quel punto.
    - Ho bisogno di tempo… e di spazio. Non voglio cancellarti dalla mia vita, e voglio comunque provare a rifrequentarti da zero, e con il tempo vedere se ci sono i presupposti validi per ricostruire una relazione tra noi… ma non posso assicurarti nulla, ovvio.- chiarii, perché volevo evitare di essere di nuovo frainteso e finire per darle forse delle false speranze. - Anch'io mi sento come te, anch'io penso ci sia qualcosa di buono tra noi, qualcosa per cui valga la pena combattere e provare a lottare per questo rapporto… ma vedo anche tutti gli errori del passato, vedo il tradimento, vedo l'incertezza di una relazione allargata. Sono cose che devo tenere in considerazione, non è una scelta che posso prendere né a cuor leggero, né guidato dalla fretta. Spero tu possa capirmi.- le avrei spiegato, un sorriso amaro in volto.
    Era difficile prendere una decisione del genere. Fino ad un mese prima, avrei potuto giurare di amare questa ragazza e voler rimanere sempre al suo fianco… Realizzare di doversi allontanare da una persona, per quanto la si ami, pur di proteggere sé stessi, era qualcosa di incredibilmente amaro da mandare giù. Non era facile, ma sapevo fosse la scelta giusta. Forse non era un addio, forse era solo un arrivederci, per ritrovarci più avanti, entrambi diversi e cambiati in meglio, entrambi pronti a costruire una relazione dalle basi sane e durature. Chissà, solo il tempo avrebbe avuto le risposte.
    - Tuttavia, anche se la mia decisione l'ho già presa, ci tengo comunque a conoscere questa ragazza.- le dissi, ora che sentivo un po' più di pace nella mia mente, ora che mi ritenevo in grado di affrontare la situazione con la dovuta lucidità. Le avevo già spiegato le mie ragioni per le quali pensavo fosse la cosa giusta da fare, per cui io stesso avevo bisogno di un confronto con questa ragazza. Specialmente perché, se davvero avevo intenzione di rifrequentare Safira con il tempo, avevo bisogno di chiarire il prima possibile la situazione anche lei. La regola della trasparenza e della comunicazione valeva ancora. Avevo bisogno di parlare con entrambe, sia per un possibile rapporto futuro, sia perché dopotutto, se davvero era chi credevo che fosse, quella ragazza rimaneva pur sempre una mia compagna Keyblader, una mia collega, qualcuno di cui avrei dovuto potermi fidare. E non era questa la situazione attuale ovviamente.
    - Puoi chiamarla, per favore? Abbiamo bisogno, no… ho bisogno di parlare anche con lei.- digitai infine, stavolta più deciso, tirando su ancora una volta con il naso.

    Edited by Ged~ - 14/8/2023, 18:03
     
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